di Gianni Rojatti [user #17404] - pubblicato il 01 agosto 2017 ore 16:30
Sting pare consapevole che il solco più profondo tracciato nella storia della musica sia stato quello segnato con i Police. Nella sua carriera solista ha inciso album strepitosi, quasi perfetti (su tutti The Dream Of The Blue Turtles e Nothing Like The Sun ma anche Ten Summener’s Tales) ma nulla che nemmeno si avvicinasse al vigore compositivo, all’impeto e all’originalità musicale dei Police. E così, il suo concerto di Cividale (Ud) c’è parso proprio un compiaciuto e sereno omaggio a una parentesi ineguagliabile della sua storia, con una scaletta che, di fatto, era la scaletta di uno show dei Police.
Tutto è parso confezionato in quella direzione: dal look di Sting che sembrava uscito dalle foto di copertina di Outlandos D’Amour alla scelta di suonare con una formazione con un impianto schiettamente rock (due chitarre elettriche, basso e batteria) senza sciccherie e fronzoli, tastiere, fiati o sequenze elettroniche. Alla batteria c’è Josh Freese. Freese siede su uno sgabello che è stato sì di Stewart Copeland, ma anche di Vinnie Colaiuta e Manu Katchè e non è una responsabilità da poco. Ma è molto bravo, pertinente, ossequioso dell'impronta di Copeland ma capace di porsi comunque, in maniera personale; specie in piacevolissimo soluzioni ammiccanti al funk.
Alle chitarre c’è Dominic Miller, oramai gregario di una vita (con Sting dal ’91) unico nel cucire attorno a Sting un chitarrismo distinto ed efficace, vicino a Andy Summers ma sempre attento a non sembrarne la copia sbiadita. A supportare Dominic Miller c’è il figlio dello stesso chitarrista, il giovanissimo Rufus e - ci mancherebbe non fosse così - l’interplay tra i due è magico. Pare proprio che gli arrangiamenti se li siano studiati nel salotto di casa, tanto l’affinità tra le parti, il bilanciamento dei suoni, l’incastro delle dinamiche risulta perfetto. Rufus suona la Les Paul e si occupa delle parti più grosse e portanti degli arrangiamenti, mentre Dominic, Stratocaster al collo, cesella temi, assolo, arpeggi. Alla band si aggiungo anche gli inserti preziosi (ma forse non indispensabili) di due coristi, uno dei quali è proprio il figlio di Sting, Joe Summer che aprirà anche il concerto con un piacevole set chitarra e voce. Chiude la band, un fenomenale Percy Cardona alla fisarmonica. La scelta di eseguire con questo strumento sezioni originariamente affidate agli archi, ai fiati e alle tastiere regala un piglio più sbarazzino ai pezzi e contribuisce allo spirito rock della serata.
Nei tantissimi brani dei Police (“Synchronicity II”, “Spirits in A Material World”, “Every Little Thing She Does Is Magic”, “Roxanne”, “Walking On The Moon”…) Sting gioca con gli arrangiamenti, mescolando le parti originali suonate dalla band sul disco, con quelle che i Police stessi proponeva riarrangiate nei live e gli arrangiamenti che Sting ha elaborato durante la sua carriera solista. Un’operazione affascinante per gli amanti e profondi conoscitori dell’artista che possono bearsi nel cogliere continue citazioni delle varie fasi musicali e storiche di Sting. In tutto questo però, Sting celebra e tutela il suo repertorio regalandolo immacolato nelle melodie vocali che ripropone fiere e identiche, cantando i pezzi esattamente come nelle versioni originali. E confeziona una performance vocale strepitosa, da fuoriclasse. Padronanza tecnica, pasta di suono, personalità: Sting è una delle più grandi voci della storia del rock.
Di tutta la scaletta, una menzione a parte la merita “So Lonely” canzone del primo disco dei Police, proposta nella migliore versione mai ascoltata live. Il brano è un delizioso rock reggae che i Police dal vivo proponevano sempre in maniera esageratamente veloce, nervosa e tagliente.
L’arrangiamento ascoltato in questo tour, morbido, rotondo e saltellante regala, finalmente, giustizia live a uno dei pezzi più fortunati e leggeri del repertorio di Sting. Delizioso il lavoro dei due Miller nelle strofe che giocano tra contrappunti quasi blues sull'incedere reggae.
Dell’ultimo album 57th & 9th Sting si concede due brani e mezzo, perchè del singolo “I Can't Stop Thinking About You” fa poco più che una menzione, contaminandola, a sua volta con una citazione dei Police: nei ritornelli inserisce infatti, i cori di “Thruth Hits Everybody” brano tra i più punkeggianti dei Police degli esordi.
Un concerto stupendo, con - almeno nelle prime file - un’acustica piacevolissima, controllata e definita nonostante il piglio rock dello show. Sting magistrale. Generoso nella scelta della scaletta, fiero e imperiale del suo bassismo solido, intelligente e minimale supportato da maestosi rinforzi, marcati sulle fondamentali con il vecchio bass synth a pedale, Moog Taurus.