di Gianni Rojatti [user #17404] - pubblicato il 28 settembre 2016 ore 17:00
La scala pentatonica rappresenta la più solida e accessibile piattaforma su cui un chitarrista può sperimentare le prime digressioni solistiche. L’apprendimento spesso è intuitivo e non richiede studi tecnici o teorici particolari. La pentatonica si lascia suonare ed esiste un bagaglio enorme di fraseggi blues, che si apprendono con un colpo d’occhio e tirando l’orecchio. Il problema arriva quando il chitarrista desidera espandere il contenuto melodico del fraseggio: aprirsi verso sonorità che la pentatonica non contempla, uscire dal solito box.
Insomma, se con solo un pizzico di pratica, costanza e impegno in breve tempo è possibile costruire un fraseggio blues rock efficace, integrare nuove sonorità melodiche non è così immediato
La difficoltà non è tanto quella di trovare altro materiale armonico da affiancare alla pentatonica (triadi, arpeggi, scale modali...) quanto il fatto di riuscire a fondere in maniera omogenea e armoniosa questi nuovi contenuti alla pentatonica. Spesso è un problema puramente tecnico, meccanico e gestuale: la mano sicura e disinvolta sulle posizioni a due note per corda della pentatonica, lo diventa meno quando passa ai voicing differenti degli altri elementi (tre note per corda per le scale, due e una per triadi e arpeggi…). Così il passaggio tra i due mondi è brusco, poco naturale e – di conseguenza – poco piacevole e gratificante da ascoltare.
Ecco uno studio per conciliare la fusione tra pentatonica e il suono della scala maggiore, qui sintetizzato attraverso gli arpeggi di add2.
Un arpeggio di add2 è dato da una triade a cui si aggiunge la sua seconda diatonica.
Per esempio: un Cadd2 è una triade di C(C, E, G) con l’estensione del D. Quindi, C, D, E, G.
Subito si osserva che, così strutturata, nelle su prime tre note l’arpeggio si snocciola come una scala: tonica, seconda e terza.
Ragioniamo in E maggiore: E, F#, G#, A, B, C#, D# La pentatonica di riferimento è quella di C#m (C#, E, F#, G#, B), costruita sulla scala relativa minore della tonalità. Visualizziamo la diteggiatura base e poi isoliamone solo la parete più esterna, suonando quindi su ogni corda la nota più bassa, quella posizionata – per intenderci - verso la paletta.
La diteggiatura di questa posizione, ci agevolerà ritagliando una sezione che interesserà lo stesso tasto su ogni corda. Sezionata in questa maniera, la pentatonica genererà un unico barrè al nono tasto.
Ora, da ciascuna nota, sviluppiamo in orizzontale il relativo arpeggio di add2. Limitiamoci alle prime cinque corde, visto che il E grave non farebbe che doppiare quanto avviene sul cantino, due ottave più in basso.
Osserviamo come sviluppando gli arpeggi, su ogni corda si ripristina la nota pentatonica omessa. Nella trascrizione degli arpeggi, abbiamo evidenziato tra parentesi le note della pentatonica di partenza.
A questo punto articoliamo ogni arpeggio attraverso il medesimo pattern sviluppato su questo un semplice disegno ritmico.
Otterremo dei fraseggi che si estenderanno in maniera estremamente melodica e naturale dalla pentatonica, permettendo alla mano sinistra di conservare la stessa diteggiatura e non cambiare impostazione. Lo sviluppo orizzontale, unito all’utilizzo dei legati e dei glissati renderà l’esecuzione fluida e omogenea, non facendo mai percepire come brusco il passaggio dal fraseggio pentatonico a quello scalare.
Esempio
Sulle corde di D e A il fraseggio è integrato melodicamente anche dall’aggiunta dell’intervallo di quarta. Le note lunghe e i passaggi in glissato sono enfatizzati con un leggero ma deciso lavoro di whammy bar, come spesso avviene nel fraseggio di chitarristi come Joe Satriani, Steve Vai o, in particolar modo, Steve Lukather.
Sviluppiamo questo studio su ogni diteggiatura di pentatonica, sperimentando anche con altre tipologie di arpeggi sempre però sviluppati in senso orizzontale.