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I Sex Pistols di Fasano, Rojatti, Scipione
I Sex Pistols di Fasano, Rojatti, Scipione
di [user #116] - pubblicato il

Daniel Fasano, Gianni Rojatti e Marco Scipione hanno registrato un eccentrico tributo strumentale ai Sex Pistols che con batteria, chitarra e sax propone il classico della band “No Feelings”, contenuto in "Never Mind The Bollocks" album del 1977 e manifesto del Punk.

La versione di "No Feelings" realizzato dai tre musicisti (che trovate nel video in fondo all'articolo) propone un arrangiamento con due anime: una saldamente legata al sound e all'intenzione dell'originale; una più personale che gioca con contaminazioni e bizzarri inserti stilistici. Ci siamo fatti raccontare questa produzione dai tre protagonisti: nel suo contributo video, Gianni Rojatti parla dei Sex Pistols, di perchè Never Mind The Bollocks è un album così importante e di come è nato l'arrangiamento di questa versione.
Nelle successive interviste, Daniel Fasano e Marco Scipione descrivono la strumentazione utilizzata, spiegano il loro approccio al pezzo e ci dicono come si sono calati nella parte.

GIANNI ROJATTI
Chitarrista dei Dolcetti e direttore artistico di Accordo, Gianni è un endorser storico di Ibanez e, tra i tanti, ha collaborato con Pat Torpey, Racer Cafè, Gregg Bissonette, Glen Matlock, Billy Gibbons...



DANIEL FASANO
Batterista, polistrumentista e produttore si è fatto conoscere come membro dei dARI. Da lì, tantissime le collaborazioni in ambito pop e rock: Gianna Nannini, Tommaso Paradiso, Irama ...

Da batterista che è anche un grande appassionato di suono, produzione e registrazione, ci dici cosa secondo te ha fatto diventare Never Mind The Bollocks dei Sex Pistols un classico?

Never Mind The Bollocksè un album senza compromessi: ti arriva dritto in faccia come un cazzotto.
I pezzi hanno un messaggio devastante che è convogliato in maniera così sfacciata attraverso il cantato strafottente di Rotten e le chitarre zanzarose di Steve Jones. Proprio il suono del disco, così diretto e scarno, è stato secondo me il veicolo perfetto per esprimere il messaggio che volevano portare.
Questa è la vera forza di questo disco che credo abbia avuto così tanto successo - e lo ha ancora adesso - proprio per questa immediatezza di contenuti. Inoltre, a livello sonoro, Never Mind The Bollocks ha creato un punto di rottura con il passato e ha generato nel tempo uno standard per tutte le band punk/rock che sono arrivate dopo.
Certo, è un disco dove magari non spiccano arrangiamenti troppo ricercati; ma è un po’ il motivo per cui ancora ci entusiasmiamo quando ascoltiamo certi classici del rock registrati 50 anni fa, a dispetto di produzioni molto più articolate e recenti. Quando i pezzi sono così forti, la produzione e l’arrangiamento possono passare anche in secondo piano ed esserne solo il contorno.

I Sex Pistols di Fasano, Rojatti, Scipione
 
Ci descrivi il set di batteria utilizzato? 
Ho utilizzato una Gretsch Brooklyn, misure 22” x 14”, 13” x 9”, 16” x 16” accoppiata ad un rullante anni ’60, sempre Gretsch, modello round badge 14” x 5”. 
Per il set di piatti, ho impiegato i miei fidati Zildjian
hihat e ride EAK anni ’70 rispettivamente da 14” e 20”, Crash of Doom da 20”, uno stack formato da Breakbeat ride da 18” e Medium Thin Crash Avedis da 16” ed infine un mini hihat da 10”, formato da due splash K Special Dry.
Ne approfitto tra l’altro per ringraziare questi due super brand, Zildjian Co. e Gretsch Drums che, tramite Mogar Music e Gewa Drums, mi forniscono gli strumenti e tutto il supporto possibile che un’artista possa desiderare.
 
Questo che hai utilizzato è il tuo set up standard o lo hai adeguato a esigenze specifiche del brano?
Non ho quasi mai un set standard a parte forse l’hihat che comunque, in questo brano, ho cambiato. Cerco sempre di adeguare il set al brano che devo eseguire, magari passando anche più tempo nella scelta del rullante e dell’accordatura del set, piuttosto che nell’esecuzione in sé. È chiaramente un discorso totalmente soggettivo ma di base finché non sono soddisfatto dell’insieme sonoro, non inizio con la registrazione vera e propria.
Per il brano in questione ho cercato di avere dei suoni molto scuri e fermi, soprattutto per quanto riguarda il rullante e la scelta dei piatti, dove ho adottato uno stack (insieme di due piatti sovrapposti) per l’accompagnamento di tutti i ritornelli, in modo da rendere tutto abbastanza asciutto e corto facendo risaltare cassa e rullante a dispetto dei soliti crashoni che, a volte, rischiano di appiattire un po’ tutto.

Dicci qualcosa sulla microfonazione…
Mi sono affidato al solito set up di microfoni, ormai ampiamente collaudato negli ultimi anni, ovvero cassa ripresa con Shure beta91A all’interno, AKG D12 (anni ’50) all’esterno, più un subkick Solomon Mics. Per il rullante, utilizzo praticamente sempre e solo un Revox m3500 anni ’70 come top e il classico Shure sm57 come bottom. Sui tom invece ho dei Sennheiser md441 anni ’70, affiancati da un md421 anni ’60, utilizzato come “dick mic”.
Gli overhead sono dei Rode NTK, più due spot su hihat e ride, rispettivamente Beyer m160 e AKG c451b. Infine come room, utilizzo una coppia di Aston Origin che ho “appeso” dentro un piccolo ripostiglio adiacente alla sala di ripresa principale.

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A giudicare da quanto si intravede nel video, sembri un appassionato di outboard analogico…
Esatto! ...a proposito di preamp e hardware, sono finito tragicamente nel tunnel dell’analogico, sviluppando quasi una sorta di feticismo per le macchine “reali” dopo tanti anni di sperimentazioni esclusivamente software legate a plugin di ogni tipo. Ho quindi impostato un insieme di preamp ed altri processori di segnale analogici in modo da avere un suono di partenza che sia già “ready to go” e dove non sia praticamente necessaria una post produzione. Mi rendo conto che di questi tempi è forse una scelta un po’ controcorrente ma il fascino di utilizzare dal vivo certe macchine che dapprima ho iniziato a conoscere esclusivamente tramite simulazioni virtuali è impagabile.
Nello specifico, utilizzo una coppia di channel strip Calrec, estratta direttamente da un banco degli anni ’70 e “rackata” in una unità, che mi consentono di saturare ed equalizzare già in ripresa cassa e rullante; quest’ultimo passa poi in un expander/gate Valley People prima di finire nel Distressor, in modo da ottenere un suono già “in your face” e che in base ai tipi di accordatura e modelli di rullante vado poi ad estremizzare o attenuare. 
Sui tom utilizzo invece i classici Api 512C affiancati dagli altrettanto storici SSL 611 EQ ed anche qui in base alle accordature, vado poi a calibrare i livelli di saturazione e frequenze; anche loro passano nell’expander/gate dove utilizzo principalmente la release quando voglio accorciare le code in modo aggressivo.
Gli overheads finiscono in un vecchio Amek by Neve, che è un stereo preamp/compressore, il quale mi consente di ammorbidire un po’ i transienti, in modo da eliminare il cosiddetto effetto “sticky” sui piatti che di solito non mi fa dormire la notte. 
Utilizzo poi sempre un compressore con settaggi quasi criminali sulle room, ovvero release e attacco praticamente a zero, per simulare l’effetto “stanzone”, nonostante la mia sala di ripresa sia piuttosto modesta come dimensioni: si tratta di un Art VLA II, un compressore stereo valvolare, abbastanza cheap, ma che per l’uso totalmente smashed che ne faccio io è perfetto, inoltre sommato al fatto che i due microfoni Aston sopracitati sono in un piccolo sgabuzzino distante dalla batteria, il risultato è sorprendente.
Ultimo macchinario di cui mi avvalgo, è il modesto riverbero Lexicon MX200 che uso in mandata su alcuni canali, ma che mi dà molte soddisfazioni riaspettò a tanti riverberi VST più blasonati. Il tutto è convogliato in 18 canali forniti da due schede audio, UAD Apollo 8 + Apogee Ensemble usata come espansione. 

Come hai gestito il mix? 
È stato abbastanza semplice gestire tutto l’insieme poiché sia le parti di chitarra che di sax, avevano già un loro carattere ben definito e soprattutto non andavano mai a sovrastarsi a livelli di frequenze. Ho cercato poi di mantenere l’animo punk del brano giocando con le saturazioni e le distorsioni, ma senza prestare troppo l’orecchio al sound originale di “No Feelings” per evitare di finire nella mera cover, ma piuttosto l’ho intesa come una rivisitazione in chiave moderna, sia dal punto di vista esecutivo che di mix.

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MARCO SCIPIONE
Musicista versatile e creativo, Scipione spazia dai suoi progetti solisti (RedNeko Plane, ToyTokyo) al pop di Mario Biondi e Tommaso Paradiso, fino alla fusion
del popolarissimo bassista Federico Malaman.


Marco tu sei un appassionato dei Sex Pistols?
Devo confessare che non ero un grande conoscitore dei Sex Pistols. Conoscevo “Anarchy In The UK” ma è come dire che conosci i Van Halen perché hai ascoltato “Jump”.
In questi ultimi anni ho iniziato a scoprirli proprio grazie alle cose che, di tanto in tanto, mi ha passato Gianni ma, soprattutto, grazie alle cose che mi ha raccontato su di loro. Sapere che avessero una storia così pazzesca ti fa venire voglia di scavare…vedi, io per esempio, adoro Miles Davis e sono il primo a dirti che per entrare e capire certe sue fasi, leggere la sua biografia - o avere qualcuno che te ne racconti la storia - può essere decisivo. Insomma, quando Gianni mi ha girato il provino di “No Feelings” che aveva registrato con Daniel alla batteria, sono impazzito. Il pezzo era una bomba e ora riuscivo a cogliere le sfumature, l’essenza della band… ho imparato ad apprezzare quel loro suono unico, sporco e marcio. E mi piace che il mio sax possa essere associato anche a quel mondo musicale.
 
Ed è stata una sfida portare il tuo sax in un contesto così sporco?
Guarda, non è stata una sfida perché quello che ho fatto in questo brano è proprio quello che cerco di fare da anni: usare gli effetti per modificare a tal punto il timbro del sax da portarlo ad avere una voce nuova che, se serve, può essere come in questo caso anche graffiante, distorta e maleducata. Semmai la sfida per me è stato decidermi a fare con il sax la melodia di un cantato….

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Perché?
Perché magari è una cosa comune per il sax ma io non la sento molto mia.
Parlo di fare arrangiamenti di pezzi pop con il sax che fa la melodia del cantato…che ne so: un pezzo di Celine Dion. Farei fatica a calarmi nella parte…Discorso a parte sono gli Standard jazz dove può capitare che il tema principale affidato al sax,  piuttosto che voce, risulti intrigante.
 
Magari perché - sotto, sotto - sei un po’ punk senza saperlo…
(Risate)…chissà, magari…  Il punto è che quando ho sentito il pezzo e la voce di Johnny Rotten così estrema e feroce ho capito che avrei potuto davvero spremere a livello sonoro ed espressivo tante cose imparate in 8 anni di sperimentazione con gli effetti…
 
Come ti sei calato nella parte?
Ho sentito il pezzo in loop. Perché non bastava impararlo: bisognava entrarci. 
Addirittura ho imparato a memoria il testo così praticamente da cantarlo, recitarlo mentre suonavo ed essere ancora più vicino a quell’espressività delirante…
 
Ci racconti la catena di suono che hai utilizzato?
Per questo brano ho usato una catena di effetti unica perché non mi piace avere dei cliché. Quindi, costruisco e customizzo tutto da zero, cosa che mi richiede diverse ore di lavoro e gradevole sperimentazione: come se fosse un mantra.
Il microfono del mio sax tenore Yamaha Custom YTS 82ZULpassa attraverso una Line 6 Helixche a sua volta, tramite un sistema multiplo di send e return collegati ad una stage box su misura, entra in una serie di pedali “singoli”, quindi boutique, molto particolari che si fondono alla perfezione con la “Mother” (Line6).
Andando al sodo, il primo effetto è un Pitch Shifter Helix che utilizzo molto spesso essendo io un fan sfegatato di Tom Morello. Ma, al di là di questo, penso che renda il suono molto malleabile ed elettronico dandogli una freddezza irraggiungibile con un sassofono acustico.
Quest’ultimo passa per una combo di distorti che amo alla follia soprattutto usati in tandem: il Box Of Metal di Zvex ed il Plasma Pedal di Gamechanger Audio, team Lettone che ho avuto il piacere di conoscere fin dalla loro nascita. Il mix di questi due mostri crea un suono estremamente denso di armoniche che mi ha subito convinto.
Successivamente passo al comparto modulazioni/ambienti, ovviamente stereo, proprio perché valorizzano al 100% i miei amplificatori di cui vi parlerò tra poco.
La modulazione presa da Helix è un Double Take, quindi un doubler che riproduce il mio suono quasi come fosse doppiato.
Ora passiamo al Glitch Delay che è una magnifica aggiunta dell’aggiornamento 3.00.0 di Line6, il quale mi permette di sperimentare con glitch, pattern e sequenze altrimenti impossibili con un normale delay,seguito in send/return da un Plate Reverb per gli ambienti “base” ed un magnifico ed ormai celeberrimo Meris Mercury 7, assolutamente impareggiabile per carattere e personalità.
Questa catena entra direttamente negli ampli di cui parlavo poco fa, 2 Ampeg Micro VR stack testa cassa, quindi 2x10 left e 2x10 right, un concentrato di potenza che mi permette di avere un suono molto scuro e privo di feedback; certo è una scelta molto estrema ma indispensabile per il mio suono che registro rigorosamente con due microfoni dinamici Sennheiser e906 a diaframma largo posizionati sui coni.
 
I Sex Pistols di Fasano, Rojatti, Scipione

Sex Pistols a parte, nella tua produzione il sax ha esplorato il suono duro del rock di Nirvana, Pantera, RATM…quanto di questo mondo musicale riesci poi a portare nel pop?
Guarda il mio obiettivo è cercare di portare autenticamente il mio suono, la mia voce, in tutti i contesti musicali in cui sono calato. Magari rischiando ma cercando di essere sempre sincero e personale. Quindi, misurarmi con questi generi così lontani dagli scenari sonori tradizionali del pop, di sicuro ha contribuito a sviluppare il mio tono e la mia espressività in maniera originale. Cosa che poi porto in quel mondo. Trovo che gli artisti apprezzino questa originalità…
 
Dove nasce la tua passione per il rock?
Quando ho iniziato a suonare io volevo essere un batterista e invece mi hanno fatto studiare flauto traverso. A fatica, nel tempo, sono passato al basso elettrico che comunque, rispetto alle mie intenzioni iniziali, mi pareva un buon compromesso. Con quello strumento al collo sono stato un vero rockettaro, un metallaro: conoscevo a memoria i dischi dei Dream Theater, Pantera, Rage Against The Machine…quell’attitudine è rimasta con me.

daniel fasano gianni rojatti intervista marco scipione sex pistols
Link utili
La pagina di Daniel Fasano
La pagina di Gianni Rojatti
La pagina di Marco Scipione
The Dang Bang, il duo di Scipione e Fasano
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