To freeze, congelare, è un verbo divertente per descrivere cosa fa la registrazione di un live, preservando un concerto nel tempo. Permettendoci così, quando vogliamo, di tornare a gustare e assaporare di nuovo note e vibrazioni di quella serata: i suoni, l’eccitazione del pubblico, l’interplay dei musicisti. L’inflessione unica che quella tale canzone assume in quella tale esecuzione, ora immortalata su disco. Ma in questo caso, come detto esplicitamente dai tre Aristocrats, è la testimonianza di un mondo musicale che ha dovuto - per più di un anno - congelarsi per non appassirsi e marcire in un maledetto stop forzato.
Quanto ascoltiamo su è la testimonianza di una band di alieni che, dopo un centinaio di date del tour, suona in maniera sublime ma a inizio marzo 2020 deve interrompere i concerti.
Così, di fronte ai mesi buoi che improvvisamente si schiudono, decide di pubblicare questa foto musicale che li ritrae bellissimi e bravissimi, divinità nel loro genere, negli ultimi concerti registrati in Spagna tra Bilbao, Sevilla e Murcia nell’appena trascorso febbraio.
Una foto per non dimenticare come si era e spronarsi a riguadagnare, prima possibile, la dimensione unica del live.
Perché a fare male di questo live non è solo quanto bene suonino Guthrie, Marco e Bryan. E ce n’è per tutti: ciascuno incarna lo standard tecnico ed espressivo del proprio strumento e, per di più, il live è registrato in maniera eccezionale, con definizione, dinamica, spazialità allucinanti. (A proposito di dinamica, questi tre maledetti su “Last Orders” scendono così in basso e in maniera così omogenea, da convincerti al primo ascolto che si tratti di un fade out!)
Quello che fa più male è che ascoltando gli svolazzare tra i loro pezzi e furoreggiare tra jam, improvvisazioni, assolo si sbatte il muso sul fatto che per quanto tutti noi musicisti si sia stati capaci ed eroici nel tenere viva la nostra attività con collaborazioni a distanza (video, dirette, streaming…) tutto non è che un fiacco e tiepido surrogato del palco.
Questo live ti va venire una voglia maledetta di suonare dal vivo: di sentire un pubblico che applaude quando infili la svisata giusta mentre la sezione ritmica pesta forsennatamente su basso e batteria.
Ascoltare questo disco in cuffia, ti fa sentire da morire la mancanza di decidere che il brano inizierà con un groove aperto; poi ci saranno il tema e il chorus. Ma che tutto quello che succederà in mezzo - fino al tema e chorus che porteranno al finale - sarà frutto di sguardi, interazione, guizzi, interplay, assolo. Non di messaggi scambiati tra mail, vocali e chat.
Nel disco ci sono sei brani e, nello stile degli Aristocrats, due firmati da ciascuno dei tre protagonisti.
Su “Get It Like That” Marco Minnemann suona un assolo di batteria fantascentifico dedicato alla memoria di Neal Peart dei Rush.
Una nota conclusiva su Guthrie Govan che in questo live ha un suono, soprattutto pulito, celestiale: modulazioni e ambienti avvolgono con perizia e gusto digressioni stilistiche allucinanti tra country, funk, jazz e deflagrazioni shred. Govan è stato sicuramente il chitarrista più significativo di questi ultimi 10 anni e ascoltandolo improvvisare live negli assolo, si sente quanto lo stile dei chitarristi tecnicamente più brillanti e spettacolari del momento (da Matteo Mancuso a Max Ostro, passando per Andrè Nieri e Tom Quayle) debba tanto, tantissimo - e anche di più - a questo geniale musicista.
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