di TidalRace [user #16055] - pubblicato il 05 febbraio 2022 ore 08:00
Il digitale prende il sopravvento nelle case e negli studi di registrazione, ma il nastro non muore, bensì si trasforma. Lo racconta il nostro lettore TidalRace.
Il lavoro congiunto di Philips e Sony diede il via, nel 1983, alla riproduzione digitale della musica con i loro lettori di Compact Disk. Da diverso tempo però si era iniziato a registrare in digitale in ambito professionale, ma occorreva poi ritornare all’analogico per la pubblicazione degli album in vinile. Con la pubblicazione dei primi CD, il segnale digitale era codificato sotto forma di bit sui nuovi supporti e veniva convertito in analogico solo in uscita del lettore, per poter essere amplificato e riprodotto.
Uno dei sistemi che introdusse alla registrazione digitale di musica su nastro fu il DAT (acronimo di Digital Audio Tape) lanciato nel 1987 da Sony. Era un sistema dotato di ottime caratteristiche, ma ostacolato nella sua diffusione dalle case discografiche.
Venne utilizzato a uso professionale per l’alta qualità delle registrazioni ottenute e per qualche tempo lo usammo anche in famiglia. Il DAT usa una cassetta di dimensioni minori di un’audiocassetta e nastro da 1/8 di pollici, utilizzando una coppia di testine rotanti. Il sistema, gestito da un microprocessore e convertitori AD e DA, adotta anche un buffer di memoria e un sistema per la correzione degli errori molto potente.
Secondo il costruttore sarebbe stata questa la nuova vita in digitale del nastro, con tanti modelli per la fascia consumer e professional. Negli apparati casalinghi non ebbe molto successo anche per via del costo d’acquisto, mentre in campo professionale fu molto utilizzato fino a pochi anni fa, nei piccoli studi e per le registrazioni dal vivo con macchine appositamente progettate. La qualità è anche superiore al CD avendo una frequenza di campionamento di 48 kHz con 16 bit di risoluzione.
Qualcosa di simile la creò sempre Sony con la sua versione digitale della microcassetta chiamata NT e capacità compresa fra i 60 e i 120 minuti.
La DCC, che stava per Digital Compact Cassette, uscita nel 1992, era invece la versione digitale dell’audiocassetta che manteneva anche una certa compatibilità con la sua controparte analogica. Il sistema era capace di leggere anche le audiocassette, ma non poteva registrarle in analogico. La qualità era a metà strada tra le audiocassette e un CD audio. Non ebbe molto successo.
Prima del DAT tuttavia si utilizzarono - in campo professionale e semipro - due moduli di conversione AD e DA collegati rispettivamente in ingresso e in uscita a un videoregistratore, che ne registrava i dati su nastro in modo digitale mentre in lettura venivano riconvertiti dal secondo modulo in analogico. Era un sistema economico e di buona qualità, anche se inferiore al CD, in quanto pur disponendo di un campionamento a 44.1 kHz non andava oltre i 14 dB di risoluzione, con una risposta in frequenza fino a 20.000 Hz e gamma dinamica fino a 84-90 dB.
Tra le accoppiate funzionanti anche a batterie, e quindi utilizzabili ovunque, ebbe molto successo quella del videoregistratore Sony Betamax SL-F1 e del doppio convertitore AD-DA Sony PCM-F1.
Un altro sistema eccellente è il DASH (Digital Audio Stationary Head), dotato di una testina fissa su tracce multiple longitudinali. Sono macchine costose, complesse e ingombranti, generalmente prodotte da Sony o da Studer e permettono l’editing dei dati in maniera più semplice. Le loro frequenze di campionamento sono di 44.1 kHz o 48 kHz, con una risoluzione di 16 bit, ma sono state prodotte anche a 96 kHz e 20 bit. I sistemi potevano gestire tante tracce in contemporanea.
In altri sistemi si sono usate le cassette Video8 e VHS che permettevano fino a otto tracce simultaneamente. Per ottenere le 16 o 24 tracce richieste in uno studio professionale, si ricorreva a due o tre sistemi opportunamente sincronizzati. Alesis lanciò nel 1991 l’ADAT (Alesis Digital Audio Tape) per registrare otto tracce di audio digitale su un nastro magnetico chiamato Super VHS, simile a quello dei videoregistratori che, tramite una sincronizzazione molto precisa e un prezzo d’acquisto concorrenziale, furono spesso le preferite negli anni ‘90 per gestire uno studio fino a 24 tracce.
Nell’ADAT di tipo 1 la risoluzione era di 16 bit con frequenza di campionamento di 48 kHz, le più recenti tipo 2 gestiscono 20 bit con frequenze di 44.1 e 48 kHz, offrendo quindi una migliore qualità. In seguito Sonorus offrì un’estensione all’ADAT della sua frequenza di campionamento. Con lo SMUX II si raddoppiò la frequenza a 88.2 e 96 kHz dimezzando a quattro il numero dei canali, mentre con lo SMUX IV si raggiunsero i 176.4 e 192 kHz con soli due canali.
Con l’avvento del DAW (Digital Audio Workstation) l’ADAT ha perso parte della sua funzione, ma non è stato abbandonato. Grazie alla sua affidabilità viene ancora utilizzato anche per altre funzioni.
Il termine ADAT viene ancora oggi utilizzato per indicare il sistema che l’ha sostituito, eliminando il nastro magnetico ormai obsoleto e rimpiazzato da un hard disk, come il modello Alesis HD24.
Con le nuove memorie a stato solido, anche i prodotti consumer, oltre che i professionali, hanno potuto eliminare il nastro praticamente da ogni apparato. Oggi anche un personal computer può essere in grado di gestire fino a 96 o 192 kHz di campionamento con risoluzioni fino a 24 bit a prezzi, dimensioni e pesi minori rispetto al passato.