Nella seconda metà degli anni ‘70 mio padre aveva ancora la sua attività, dove produceva attrezzature per autofficine, in due capannoni oltre ad altri locali minori presi in affitto. Non essendo tramontata la sua passione per la musica suonata, decise di costruire nel capannone adibito a magazzino, un box con una semplice struttura in metallo e pareti in polistirolo per farne una sala prove. Mi ricordo che verniciai io stesso la struttura metallica in un colore crema. Fu riempito questo locale con una Fender Stratocaster, un Fender Precision, un piano Rhodes e rispettivi amplificatori Fender, tutti rigorosamente neri, mentre non ricordo la presenza di alcuna batteria. Sicuramente prese tutto questo con l’idea di pagarlo a rate, nel negozio del suo amico ed ex compagno di musica Veniero Mancinelli. Purtroppo poco tempo dopo fu costretto a chiudere la sua attività a causa di un forte esaurimento nervoso, quando io e i miei fratelli, troppo giovani, non eravamo ancora in grado di aiutarlo nella sua attività. Tutta la strumentazione tornò al negozio dopo essere stata usata pochissimo. All’epoca avevamo appena iniziato in due a studiare chitarra e piano e quella strumentazione era troppo in anticipo sui tempi.
La nostra prima sala prove a fine anni ‘70, inizio anni ‘80, quando eravamo in sette, quasi tutti capaci di fare quattro accordi con un’acustica e con un batterista alle prime armi, fu un salone parrocchiale di grosse dimensioni e praticamente vuoto, in cui nel periodo natalizio veniva realizzato un bel presepe, dotato di un riverbero e un rimbombo pauroso, ma che non costava nulla. La registrazione delle prove aveva dato risultati molto scadenti, proprio per le caratteristiche del locale. Dopo poche occasioni di esibirci si perse l’entusiasmo e il gruppo di sciolse.
Qualche anno dopo aver chiuso la sua officina e varie attività iniziate e terminate da dipendente, mio padre prese in affitto un seminterrato per costruire chitarre e bassi elettrici compresi i pickup, con un’avvolgitrice di sua creazione. Il locale fu dotato di un banco molto grande in ferro, che richiese un enorme sforzo per farlo passare nella piccola porta d’ingresso e dotato di varie attrezzature per tagliare e molare il legno. Insieme al locale principale c’era una piccola stanza di appena due metri per tre circa, che fu parzialmente insonorizzata e che diventò la nostra sala prove per un paio d’anni. Fu acquistata una vecchia batteria Arai tipo jazz, che occupava metà stanza, un valvolare Binson da 60W, un ampli a transistor per basso da 160W, mentre sia la chitarra, sia il basso era opera di mio padre. In tre stavamo già stretti, ma felici di andare un paio di volte la settimana, in genere il mercoledì e il sabato pomeriggio a sfogarci con la musica.
Oltre a questi strumenti avevamo un paio di microfoni di tipo electret condenser, ovvero microfoni alimentati a batteria stilo molto economici, il primo marchiato Philips e il secondo Maruni, dotati di cuffia antivento e nessun mixer. Il mio desiderio era quello di registrarci per riascoltare cosa veniva fuori e capire gli sbagli delle nostre esecuzioni per poterci correggere. Portai la piastra a cassette Akai nel nostro piccolo studio e vi collegai i due microfoni panoramici al centro della stanza e distanti almeno un metro uno dall’altro. I due microfoni avevano il compito di registrare, la batteria in stereo, il basso, la chitarra e le nostre voci. Per bilanciare il livello del canto, con quello degli strumenti a corda, che era in funzione del livello della batteria, trovammo la distanza più corretta delle nostre voci, leggermente più a sinistra una e leggermente più a destra l’altra. In definitiva i due microfoni riprendevano ciò che noi ascoltavamo e quindi il bilanciamento dei volumi dei tre strumenti era già corretto per l’uso. Anche se economici i due microfoni erano piuttosto fedeli per una ripresa panoramica di questo tipo. Lo stesso sistema di ripresa fu poi utilizzato per i primi spettacoli a cui partecipammo, per un concerto di musica classica di solo pianoforte, per dei canti natalizi di un coro ed altre esperienze.
In foto: un microfono electret condenser del tipo da noi utilizzato e la nostra prima piastra Akai a cassette.
Le cose migliorarono quando passammo prima per un vecchio impianto valvolare Davoli da 100 watt, con eco a nastro incorporato, poi per un moderno mixer Yamaha 8 canali da 120 watt stereo con equalizzatore grafico, a cui collegavamo le due casse Davoli e naturalmente microfoni più adatti al canto.
Per qualche tempo prima di abbandonare il locale, il nostro gruppo aveva un secondo chitarrista e per provare in quattro utilizzammo il locale più grande, con le lamentele degli abitanti del piano di sopra.
I nastri furono ascoltati tante volte fino ad arrivare, non certo come nuovi, alla fine degli anni ‘90, prima di essere ripuliti, riequalizzati e trasferiti su un compact disk. Purtroppo a parte qualche registrazione nella sala prove e un paio di esibizioni non potemmo registrare mai negli eventi successivi, gestiti dal service di turno e non ci preoccupammo mai di scattare una qualche foto, se non quelle fatte da altri come ricordo di quei tempi. Si viveva molto il momento senza pensare che un giorno sarebbe finito tutto.
Dopo un paio d’anni io e mio padre tentammo di resuscitare una gloriosa fabbrica di piattelli per tiro al volo, prendendola in gestione e trasferimmo la nostra sala prove in un locale a fianco della area adibita alla produzione. Il tentativo durò circa un anno, quando fummo costretti ad arrenderci per la nuova concorrenza dotata di macchine molto più moderne. La cessazione della attività coincise anche con la partenza per il servizio militare, nel lontano 1984, di mio fratello Emanuele, che era la voce principale e chitarrista del gruppo, il secondo a partire dopo Roberto che era appena entrato nel 1983.
Quando ritornammo a suonare in quattro nel 1987, non avevamo più una batteria, un locale per provare e gli strumenti costruiti da mio padre. Carlo il batterista prese in prestito una Yamaha, più completa e moderna della vecchia Arai, Emanuele aveva una delle prime Squier Stratocaster collegata al suo fido Mesaboogie, io un Gibson Ripper e Roberto credo che avesse una Ibanez di tipo Strat e il suo Fender The Twin. Trovammo prima una ex-scuola di campagna da tempo chiusa e poi un garage di una villa abitata solo in certi periodi dell’anno di una famiglia romana.
In foto: il Tascam Porta One degli anni ’80.
Non registravamo più nulla dai tempi del seminterrato anche se avevamo acquistato uno dei primi registratori a cassette multitraccia, lo storico Tascam Porta One che era utilizzato nella soffitta della nuova abitazione di famiglia, per la composizione di nostri brani e provini.
Ritornammo a registrarci live quando decidemmo di suonare in duo, io e mio fratello, nei locali della zona, ma questa è un’altra storia.
|