Dai Nevermore agli Arch Enemy, il nome di Jeff Loomis supera i limiti delle band e diventa un riferimento universale per i fanatici del chitarrismo più spinto, per suoni quanto per tecnica. Loomis è maestro in entrambi i campi e la sua collaborazione con Jackson è proficua, vantando diversi modelli di cui la SL7 è il più recente esperimento.
, Soloist a sette corde cattiva come poche, fa parte della Pro Series, collezione di provenienza coreana che punta su componenti di alto livello per raggiungere un rapporto qualità prezzo allettante.
Sono strumenti professionali o rivolti a studenti in cerca di un’ascia con una marcia in più, dall’estetica impressionante e dall’affidabilità fuori discussione. La firma di Jeff Loomis - come il suo logo sul retro della paletta - in questo caso è una garanzia, e provarla in studio ha fornito diverse conferme in merito.
Liuteria e hardware
Jackson resta fedele ai parametri costruttivi che l’hanno resa un’icona nel metal moderno, come la costruzione neck thru con manico in tre pezzi di acero rinforzato alla grafite. Ai lati della struttura centrale, il body della SL7 di Jeff Loomis è in tiglio con top in frassino lasciato a vivo sotto una vernice nero satinata che ne esalta le profonde venature, tridimensionali sotto le dita e capaci di emergere prepotenti ogni volta che la luce colpisce il top.
Tutto intorno, un binding bianco continua fin sui bordi della tastiera in ebano. 24 fret di tipo jumbo sono seminati lungo un diapason da 26,5 pollici, ideale per garantire una buona tensione delle sette corde anche in caso di accordature ribassate senza dover eccedere con il calibro delle mute.
Riff duri e un’attenzione alla ritmica non precludono i virtuosismi, e il ponte Floyd Rose 1500 Series con bloccacorde al capotasto lavora come si deve, reggendo sollecitazioni con una certa morbidezza al tocco e senza perdere un colpo in fatto di accordatura.
Come da tradizione Jackson, il raggio è compound, da 12 a 16 pollici per un approccio ottimale sia negli accompagnamenti sia nelle escursioni soliste. Sono entrambi elementi distintivi nello stile di Loomis, e la SL7 riesce a valorizzarli con una suonabilità da manuale associata a un timbro a dir poco aggressivo.
Elettronica e suono
Due humbucker, un selettore a tre posizioni e un solo volume senza alcun controllo di tono né possibilità di split rendono chiaro fin da subito che la Jeff ha voluto una chitarra che fosse “in faccia”, dritta al punto. A darle voce è una coppia di Seymour Duncan Blackout, pickup attivi signature dell’artista caratterizzati da un timbro brillante, estremamente presente sui medio-alti per bucare il mix in qualsiasi condizione.
Sono magneti votati all’hi-gain, con un preciso carattere anche sui clean dove suonano squillanti, vetrosi e incisivi. L’output è impressionante, difficile tirarci fuori dei puliti puri, ed è chiaro che in saturazione tireranno fuori il loro vero carattere.
Quando il clipping subentra pesante, una distorsione estremamente a fuoco regge i powerchord anche sui registri più gravi sempre con gran definizione. Niente suona gonfio né slabbra più del necessario, e la separazione delle note si dimostra una priorità dei progettisti sia quando si sgranano accordi più complessi, sia nelle parti soliste.
Difficile immaginare la in un contesto diverso dal metal più duro, ma c’è da scommettere che a ben pochi verrebbe in mente di esplorare altri lidi con uno strumento del genere. Per tutti gli altri, gli irriducibili dell’hi-gain vecchio stile, ma attenti alle derive moderne del sound metal e con il pallino per la suonabilità spinta al limite, un giro sulla Soloist di Jeff Loomis è senza dubbio consigliata. |