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Corrado Rustici racconta il ruolo del produttore all'epoca dei social
Corrado Rustici racconta il ruolo del produttore all'epoca dei social
di [user #116] - pubblicato il

Abbiamo incontrato l'autore del "Breviario del produttore musicale" durante la sua presentazione a Milano, occasione per un dialogato sul ruolo che i social hanno nella trasmissione musicale, l'apporto che le nuove tecnologie possono fornire e soprattutto come nascono la sua visione e la sua carriera di produttore.
Accordo: Domanda secca e un po’ marzulliana: Corrado Rustici è un chitarrista che produce musica o un produttore che suona la chitarra? Come possono convivere le due identità e quando senti che una prevale sull’altra?
Corrado Rustici: Questa è la descrizione di quello che io credo debba essere il produttore musicale, ovvero devi prima essere musicista per poter fare il produttore come lo intendo io. Sono cresciuto in un’era in cui il ruolo del produttore è stato definito da George Martin, produttore e quinto elemento dei Beatles, una figura che conosceva il modo di risolvere quei nodi musicali che vengono a galla quando si confeziona musica. Crescendo come musicista, imparando a suonare e cercando di condividere, grazie alle opportunità e alla fortuna che il mio trasferimento all’estero mi ha dato di suonare con i grandi della musica internazionale, ho potuto vedere e quindi imparare come si produce musica di un certo livello. Le due dimensioni sono intercambiabili: a volte devi fare solo il produttore, quello che tiene i cani in guardia, altre volte devi essere il primo a intervenire e come musicista e come arrangiatore.

Corrado Rustici racconta il ruolo del produttore all'epoca dei social

A: Ci racconti un episodio in cui il tuo essere chitarrista ha svoltato la produzione musicale e uno in cui, viceversa, hai dovuto accantonare tutto quello che sapevi della chitarra perché il brano funzionasse?
CR: Non mi è capitato che dovessi accantonare tutto quello che sapevo ma può essere successo di dover accantonare la voglia di intervenire, come in situazioni in cui ho pensato che fosse necessario l’apporto dell’artista stesso e non del produttore che risolve sempre i problemi. Non voglio e non posso fare esempi - sorride - ma ci sono state volte in cui come musicista sono dovuto intervenire e altre in cui non intervenire si è rivelata la strategia vincente.

A: Nel libro parli di diversi tipi di produttori, da quelli più “discreti” come Arif Mardin a chi arriva a condividere profondamente il processo compositivo coi musicisti come George Martin. A quale categoria ritieni di appartenere e quale figura pensi sia la più funzionale per un ragazzo che vuole intraprendere la strada del produttore nella scena odierna?
CR: Sono cresciuto nel periodo in cui il ruolo del produttore veniva definito con George Martin, io ero un bambino e per chi non ha vissuto quell’era è difficile capire l’impatto che ci fu. Adesso è tutto famoso e subito, ma prima dei Beatles c’erano stati Elvis che aveva già smosso le acque e prima di lui Frank Sinatra che erano visti come eroi, poi i Beatles hanno cambiato tutto. Questo è avvenuto in un momento in cui la musica ha avuto un ruolo anche culturale e sociale, ha riunito i giovani e non solo come modo di svago ma anche come modo di essere, si utilizzava come simbolo di appartenenza e ha generato cambiamenti importanti. Io l’esperienza e la figura del produttore l’ho vissuta con questo esempio, inizialmente per me i Beatles e George Martin erano bravi e geniali poi crescendo ho iniziato a valorizzarne il lavoro, a indagare il come e il perché si faccia in un modo piuttosto che in un altro. Io inoltre sono una persona che deve capirle le cose, ha bisogno di andare a fondo, aprire la scatola e capire tutto, ed è così che ho scoperto il mio ruolo di produttore.



A: Nel libro sei molto critico verso l’utilizzo che si fa della musica sui social come TikTok. Voglio sfidarti con un punto di vista impopolare: e se quel tipo di media avesse il grande valore di spingere gli artisti a riuscire a esprimersi in pochissimi secondi, imparando a catturare l’attenzione del pubblico in un attimo laddove, anni fa, un musicista poteva permettersi composizioni più altalenanti e momenti più poveri d’interesse perché la fruizione non era così agguerrita?
CR: La premessa è che ci sia qualcuno con delle idee da proporre. Io credo che si debba fare una distinzione. Oggi l’industria dello svago, attraverso l’accordo con varie piattaforme e Wall Street, investe soldi e vuole guadagnarne velocemente, notiamo che i dischi di platino oltre a essere corrisposti in gettoni d’oro son conferiti su vendite intorno alle decine di migliaia di copie più i like contro i milioni di copie di un tempo, ma manca a mio parere una parte fondamentale di investimento, quella sulla parte di artisti che un tempo erano e oggi sono fuori dal giro, coloro i quali hanno delle idee, quelli che per esempio invece dei 25milioni di copie vendute da Michael Jackson ne vendevano 100mila ma Jackson li cercava per contaminare la sua musica. Quindi la tecnologia va bene, il problema dei social è che ora è il sottoprodotto del postmoderno in cui l’apparenza è più importante di essere, per esempio gli adolescenti che non si piacciono e ricorrono all’uso dei filtri o alla chirurgia. Questa pressione sociale è applicata anche alla musica, chi è impopolare per cercarlo di essere produce quelle che io chiamo gif musicali, sono 15 secondi che si ripetono per 3:30 minuti ma non è musica, è svago. Il concetto per me è che l’arte è sempre intrattenimento poi c’è l’intrattenimento che non è quasi mai arte, questa è la differenza che vorrei far notare per quanto riguarda l’industria musicale di oggi, la mancanza di investimento e attenzione alla cultura di cui invece abbiamo bisogno, soprattutto i giovani a cui bisognerebbe mostrare non solo il modello di bella vita ed esser fighi, ma il modello di essere umano con tutte le proprie mancanze e forze. La musica è sì arte di comunicazione ed è molto precisa, non puoi comunicare con un mezzo di cui non conosci nulla e se devi parlare di musica devi saper suonare, conoscere gli accordi, saper comporre.

A: Vederti svolazzare sulla copertina del Breviario fa sorridere, poi si legge e si scopre che dentro c’è tecnologia, filosofia, psicologia, addirittura cenni di neuroscienze. Sembra davvero che per avere un’idea completa del ruolo del produttore occorra un “livello di coscienza superiore”. Pensi sia uno stato da raggiungere necessariamente con l’esperienza o è qualcosa che i corsi di formazione - sempre più numerosi sulla produzione musicale - possono effettivamente insegnare?
CR: Io credo che manchi la fame di sapere da parte dei giovani, e siamo tutti giovani, che è la cosa essenziale. Io ho notato nella mia breve vita che esprimiamo tutta questa baldoria di essere in vita ma alla fine abbiamo paura di vivere e facciamo di tutto per proteggerci da quello che la vita può farci capitare cominciando a fare teorie. Quello che la musica e l’arte sono e sono sempre state è proprio questa esternazione di malessere che abbiamo verso l’esistenza e lo comunichiamo attraverso la musica che come dicevo prima è veloce nel farlo. Ultimamente, a mio avviso, è veloce a comunicare cose inutili. I corsi benvengano, sono strumenti per conoscere e migliorare ma credo che il punto di partenza sia l’individuo ma purtroppo siamo in una società in cui la pressione sociale e culturale non ti sprona a studiare e a capire il perché delle cose, chi siamo… ci identifichiamo con il fare più che con l’essere.

Corrado Rustici racconta il ruolo del produttore all'epoca dei social

A: Parlando di tecnologie nella produzione musicale, per esempio l’avvento del digitale, sappiamo come possano rivoluzionare gli orizzonti espressivi, offrendo mezzi anche a chi un tempo poteva solo sognare di incidere decentemente la propria musica. Oggi possiamo scoprire musica nuova in continuazione, registrata anche con pochissimo budget. Secondo Dave Grohl, questo però ha portato solo alla nascita di tantissima musica brutta. Qual è il tuo punto di vista?
CR: Devo condividere, è la verità, se vuoi fare della musica devi partire dalle conoscenze, devi avere delle basi altrimenti non è musica ma semplice comunicazione come si può fare su Twitter o Whatsapp. Nella musica c’è bisogno di una disciplina che deve essere acquisita, un know how delle cose altrimenti si parla del nulla. Il problema più grande è che succede che non si abbiano le competenze e si ricorra all’intelligenza artificiale, che a mio avviso è e sarà uno strumento efficace solo per quei pochi che hanno le conoscenze e sapranno servirne a supporto per la visione ed esplorazione di nuovi orizzonti. Non può e non dovrebbe essere utilizzata per rendere più comoda la nostra esistenza o per non fare la fatica di studiare, e soprattutto nell’ambito musicale che non vadano a sopperire alla conoscenza degli accordi e alle modalità di arrangiamento. Il male utilizzo di questa tecnologia è la grande malattia di questo momento. In conclusione credo che si debbano far proprie le competenze prima di aiutarsi con le tecnologie.
In una industria come quella musicale in cui si guadagna molto bene non c’è bisogno di fare la star per avere successo, si può essere autori, produttori, manager. Le statistiche dicono che dell’80% dei musicisti statunitensi solo il 17% è professionista, ovvero riesce a vivere del mestiere che fa, molti sono supportati dalle donne, figure di cui non parliamo mai. La bolla anomala degli ultimi 40 anni ha svegliato tutti, puoi guadagnare tanti soldi facendo musica, dovrebbe invece essere ridata una dignità a chi fa musica in una certa maniera.
corrado rustici interviste volontè&co
Link utili
Accordo: il produttore nel breviario di Corrado Rustici
Breviario del produttore artistico sul sito di Volontè & Co.
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