di Pietro Paolo Falco [user #17844] - pubblicato il 03 maggio 2015 ore 07:30
Trovarsi faccia a faccia con un musicista del calibro di Franco Cerri, che ha vissuto sulla propria pelle il punto più alto della storia del jazz, è un'occasione unica per imparare di più sulla sua musica, sull'approccio anche a livello umano e per scoprire alcuni curiosi aneddoti e retroscena sui più grandi.
Trovarsi faccia a faccia con un musicista del calibro di Franco Cerri, che ha vissuto sulla propria pelle il punto più alto della storia del jazz, è un'occasione unica per imparare di più sulla sua musica, sull'approccio anche a livello umano e per scoprire alcuni curiosi aneddoti e retroscena sui più grandi.
Tra i maggiori esponenti della chitarra jazz in Italia, Franco Cerri è tra i pochi musicisti a poter dire di aver vissuto a pieno il boom jazzistico della metà del secolo scorso. Negli anni, ha condiviso il palco con idoli del calibro di Jim Hall, Django Reinhardt e Dizzy Gillespie tra gli altri, e qualche tempo fa è stato ospite a Napoli per un riconoscimento ufficiale "alla carriera". Durante la sua visita, ha approfittato per incontrare dei vecchi amici e scambiare un po' di note con loro. Nello specifico, è approdato all'Around Midnight prima al fianco di Pietro Condorelli e poi di Nicola Mingo. L'ho incontrato proprio in occasione di quest'ultimo evento. Franco è un signore pacato ed elegante nei modi e il suo stile chitarristico riflette alla perfezione la sua personalità. Non è un uomo che si perde in tante chiacchiere, parla poco, ma colpisce al cuore. E anche le sue note, forse complice l'età che non gli permette l'agilità di un tempo, sono essenziali, senza fioriture esagerate, ma sempre azzeccatissime. Vederlo suonare non può che far tornare alla mente una famosa frase di Miles Davis: "perché suonare tutte queste note quando possiamo suonare solo le migliori?" Prima di vedergli collegare la sua nuova chitarra di liuteria, già mostrata in questo articolo, mi sono avvicinato per salutare lui e Nicola Mingo, che avevo raggiunto per l'intervista a questo link. Affascinato dalla classe del personaggio, quella che è nata come una semplice chiacchierata di passione mi ha immediatamente dato il "La" per approfondimento estemporaneo con una breve intervista su jazz suonato e, soprattutto, jazz vissuto.
Pietro Paolo Falco: Nei decenni, mentre altri generi musicali hanno visto le improvvisazioni quasi svanire, nel jazz è successo esattamente l'opposto. Cosa c'è di tanto speciale in un assolo? Franco Cerri: La parte improvvisativa dà a ognuno di noi la possibilità di giocare su una melodia per com'è scritta, ma mettendoci una parte di sé, ed è esattamente quello che fa appassionare al genere. Quando si completa il tema e si parte con l'assolo, questo diventa come un tuo racconto, una cosa personale che condividi con il pubblico.
PPF: Secondo molti, il modo migliore per assorbire il linguaggio jazzistico è replicare gli assolo dei grandi piuttosto che studiare sui libri. È corretto? FC: Il rischio è che si finisca per copiare, e bisogna fare molta attenzione a riversare tutto in un proprio stile personale. È bello, è interessante far sentire qualcosa che ti è rimasto nella testa tra le cose fatte da loro, e poi inventare qualcosa che venga da quelle, senza però imitare.
Il jazz è una musica che nasce tra la gente, in un calderone di culture diverse e note rubate dai club, dai bordelli, dalle jam session e dalle tradizioni più lontane. A questo punto sorgeva spontanea la domanda: "ma il jazz si può insegnare?". Per questa risposta di Franco e Nicola, vi lascio al video.
PPF: Sembra che, nel tempo, il jazz abbia perso quella spontaneità che lo contraddistingueva per diventare sempre più musica "d'elite"... FC: Improvvisare è fondamentale, ma non bisogna mai perdere di vista una parte della melodia del brano, e musicisti come Charlie Parker e Dizzy Gillespie erano maestri in questo. Gillespie fu ospite a un mio programma, "Fine serata a casa di Franco Cerri", in un mio ipotetico appartamento in cui si chiacchierava, si suonava... e mi raccontò che si vedeva a casa propria con Charlie Parker, ma la moglie non desiderava che Parker entrasse in casa per via del fatto che, quando stavano insieme, i due erano sempre sbronzi. Loro dovevano studiare un brano che avrebbero dovuto registrare il giorno dopo ma Parker dovette rimanere fuori casa, così Dizzy gli passò le partiture da sotto la porta e i due si misero a studiare questo pezzo di volata attraverso la porta di casa mentre la moglie gli urlava contro! Forse è questo, oggi si è perso quel legame con la storia del jazz.
PPF: L'ultimo passo dell'istituzionalizzazione del jazz è stato il suo ingresso nei conservatori. Credi che questa attenzione gli possa far male o lo metterà sotto nuova luce? FC: Purché se ne parli, evviva! Non so se dipende da quello, ma adesso ho notato che la gente si sta avvicinando nuovamente al jazz, anche il pubblico mostra maggior interesse, è più reattivo, attende davvero l'improvvisazione e non va a un concerto solo per ascoltare una melodia famosa.