Il suono è nelle mani. Il suono è nello strumento. Il più delle volte, il suono è il risultato di un'alchimia inimitabile tra numerosi fattori legati al musicista quanto alla sua chitarra e tutto quello a cui la collega, e la strada per raggiungere il proprio tone va inevitabilmente a braccetto con la tecnica.
Spesso su forum, post e commenti si leggono luoghi comuni del tipo: "l'importante è il chitarrista, non la chitarra" o "il suono è nelle dita" o anche "preferisco dedicarmi allo studio della tecnica e alla musica che agli strumenti".
Sono frasi lapidarie che sembrano voler rendere inutile qualsiasi ricerca sugli strumenti e sul loro suono. Alla luce di queste affermazioni, qualunque discussione in merito al valore della strumentazione appare oziosa e fine a se stessa. D’altra parte, giudizi personali e valutazioni sugli strumenti risultano invariabilmente discordanti e dunque sembrerebbe davvero che si possa chiudere sul nascere qualsiasi discussione sugellandola con un "è una questione di gusti".
Il punto di partenza che bisognerebbe dare assolutamente per scontato è che uno strumento musicale è, per l’appunto, soltanto uno strumento. Anche la chitarra più prestigiosa è del tutto inutile nelle mani di un musicista mediocre e anche una chitarra pessima può produrre la migliore musica nelle mani di un grande artista, questo dovrebbe risultare ovvio. Molti musicisti hanno dato prova del loro talento in memorabili performance chitarristiche eseguite con corde arrugginite, cigar box, vecchi catenacci, strumenti auto costruiti con materiali di riciclo o diddley bow con una sola corda. Significa allora che la qualità degli strumenti non ha alcun valore?
In troppi concerti a cui assisto mi capita di ascoltare suoni di chitarra scialbi e inespressivi che, indipendentemente dal volume, si disperdono nel mix del sound della band o nel riverbero di ambiente della sala, distorsioni aspre e povere di armoniche, drastici tagli di frequenze, effetti inappropriati o di dubbio gusto. Magari sul palco c’è uno stack con testata e cassa a quattro coni, ma il suono della chitarra non arriva al pubblico con incisività. Troppo spesso le frasi citate in apertura vengono utilizzate come pretesto per trascurare con pressappochismo la ricerca di un sound efficace e sminuire il ruolo della strumentazione.
C’è chi ha affermato che il sound degli strumenti ha un ruolo marginale, come la cornice in un quadro. Al contrario io ritengo che i suoni di un musicista rivestono la stessa importanza dei colori sulla tela di un pittore.
Se Michelangelo, per affrescare la Cappella Sistina, avesse avuto a disposizione solo vasetti di colore da negozio di ferramenta, il risultato sarebbe stato paragonabile a quello che ammiriamo ancora oggi? Se gli affreschi fossero stati eseguiti da un pittore mediocre con gli stessi colori che ha usato Michelangelo, avrebbe ottenuto un risultato analogo a quello di Michelangelo? Sono domande di una tale ovvietà che è del tutto inutile cercare una risposta. Il punto è che il talento artistico di Michelangelo passava anche per l'assoluta padronanza dei materiali che utilizzava per produrre i colori, per l'incommensurabile conoscenza degli strumenti di cui si serviva e delle tecniche che adoperava.
Odio le armi da fuoco e non ne ho mai usata una. Se dovessi sparare, chi avrebbe più probabilità di centrare il bersaglio? Io con un fucile di precisione o un tiratore scelto con un vecchio archibugio? Credo che anche questa sia una domanda oziosa e inutile. La competenza di un tiratore scelto passa anche attraverso la sua conoscenza delle armi e la sua capacità di saper utilizzare le funzioni di un mirino e di un’arma di precisione molto meglio di quanto potrei fare io.
Sembrano affermazioni di una banalità sconcertante ma, chissà per quale motivo, domande del tutto analoghe abbondano nelle discussioni dei chitarristi.
Una volta, mentre cercavo di spronare un amico a migliorare il suo suono, lui mi rispose: "Mi occuperò della strumentazione quando avrò imparato a suonare". Sembrerebbe un’affermazione saggia di primo acchito ma la verità è che non si finisce mai di imparare a suonare e non si finisce mai di migliorare il proprio suono. Curare il proprio suono inoltre può aiutare a progredire con la tecnica sullo strumento. Fraseggio e padronanza della tastiera vanno sviluppati in maniera parallela alla capacità di riprodurre i suoni che abbiamo in mente e di conseguenza alla ricerca di strumenti adeguati.
Molti chitarristi hanno incentrato il loro percorso musicale proprio su questo aspetto.
Les Paul per esempio era un infaticabile sperimentatore. Verrà ricordato per sempre come uno dei più grandi chitarristi mai esistiti, non solo per il modo in cui muoveva le dita sulla tastiera ma anche per i suoni che produceva. Per suonare al meglio la sua musica e riprodurre i suoni che aveva immaginato, precorse l’uso delle solid body ed elaborò tante altre geniali intuizioni, tra cui il delay.
La grandezza dei Rolling Stones è anche nel loro inimitabile sound e nella cura scrupolosissima della strumentazione impiegata. Nel 1965 Keith Richards fu tra i primi a riscoprire la Gibson Les Paul e tra i pionieri del pedale fuzz. Ancor oggi il backline e le chitarre sul palco degli Stones rimangono di qualità insuperata. Una Telecaster originale dei primi anni '50 può avere dei bassi molto possenti e corposi, per questo motivo Richards utilizza la sua amata "Micawber" senza la corda del Mi basso, per evitare di interferire con lo spettro di frequenze del bassista. Questa cura maniacale per il sound non è un esercizio ozioso che ha distratto gli Stones dalla loro musica ma al contrario da più di mezzo secolo è uno degli ingredienti del loro successo. Curare i suoni con attenzione non ha impedito a Jagger e Richards di sviluppare negli anni il loro straordinario genio compositivo, il grande sound delle chitarre degli Stones ha anzi valorizzato la loro musica e il talento di grandi chitarristi come Keith Richards, Mick Taylor e Ron Wood.
Negli anni '70, il giovane Adrian Belew era più impegnato a imitare con la sua chitarra il barrito di un elefante che a studiare scale, eppure la sua Stratocaster ha fornito un preziosissimo contributo alla musica di Frank Zappa, David Bowie, Talking Heads, Laurie Anderson e Robert Fripp.
Johnny Marr, chitarrista degli Smiths, ha più volte sottolineato nelle interviste che il punto di forza dei suoi riff non è nella disarmante semplicità dei giri armonici ma nella ricerca di suoni intriganti.
Nell’ottavo disco in studio di Jeff Beck, l’ottimo You Had It Coming pubblicato nel 2001, indubbiamente il lavoro di ricerca sul sound della chitarra riveste un ruolo più importante della scrittura compositiva dei brani di per sé. Gli esempi potrebbero continuare ancora molto a lungo perché tutti i più grandi chitarristi, accanto a uno stile caratterizzante e inimitabile, hanno saputo sviluppare una ricerca sui suoni altrettanto personale ed esclusiva. I delay della Stratocaster di Hank Marvin, il binomio fuzz-wah coniato da Hendrix, i wall of sound dei Marshall di Johnny Thunders o di Johnny Ramone sono stati seminali nella storia del rock almeno quanto lo sviluppo delle tecniche chitarristiche strettamente intese.
I più grandi chitarristi hanno saputo sviluppare con il proprio strumento una voce così personale da essere riconoscibili anche da una sola nota.
Sicuramente questo risultato è raggiunto grazie a decine di anni di esperienza alle spalle, vasta cultura musicale, padronanza virtuosa della tecnica chitarristica, maestria con scale, modi, accordi e rivolti, comprensione profonda di differenti linguaggi stilistici e abilità di spaziare tra questi con grande naturalezza. Tuttavia il suono di un guitar hero non è solo il risultato del tocco delle sue dita ma anche del tempo dedicato a studiare la strumentazione affiancato da fonici, produttori, tecnici, liutai ed esperti. Come ogni artista figurativo che si rispetti, dietro allo sviluppo delle tecniche più tradizionalmente intese, c’è anche un lungo lavoro di studio sui materiali impiegati. Non esiste scultore che non tragga ispirazione dai materiali che lavora. Parte fondamentale del lavoro dello scultore è proprio la selezione accurata di questi materiali.
Allo stesso modo, non può esistere un buon sarto che non abbia una valida cognizione delle stoffe da confezionare. Eppure, in molte esibizioni live si ha la sensazione di vedere sarti all’opera con stoffa scadente: chitarristi che non producono un buon sound.
Ora sorgono spontanee le domande: qual è un buon sound? Qual è una buona chitarra? Come riconoscere una buona strumentazione?
Come si può immaginare, non esistono risposte assolute perché tutto è relativo al progetto musicale che si intende portare avanti. Lou Reed diceva: "Esiste un intero mondo di sound diversi".
Molti esperti di pianoforti concordano sull’idea che il miglior piano mai realizzato è lo Steinway & Sons Model D 274 Concert Grand, preferibilmente prodotto durante l’epoca d’oro della casa, prima della seconda guerra mondiale, quando si adoperavano legni di alberi cresciuti almeno 150 anni e stagionati naturalmente attraverso uno stoccaggio di decenni.
Se però la nostra intenzione non è ispirarci ai suoni di Arthur Rubinstein ma piuttosto ricreare un’atmosfera da saloon, il pianoforte verticale scordato che giace nella soffitta della nonna potrebbe essere una scelta più appropriata a restituirci quell’effetto honky tonk che cerchiamo.
Il punto di partenza è avere consapevolezza del proprio progetto musicale e degli strumenti che si scelgono per attuarlo.
Sicuramente a Roy Lichtenstain o ad Andy Warhol sarebbero stati più utili dei tubetti di colori acrilici acquistati in un comune negozio che i colori elaborati da Michelangelo per affrescare la Cappella Sistina, questo però non significa che Lichtenstein e Warhol avessero scelto i loro colori a caso.
Un grande suono non inizia necessariamente con la migliore chitarra ma parte dalla testa: bisogna avere ben chiaro in mente il proprio progetto musicale e immaginare quale tipo di sound sia funzionale alla musica che si intende proporre in pubblico. Occorre prefigurare nella mente il timbro che si desidera per il proprio strumento e studiare il modo di ottenerlo con la stessa cura che prestiamo allo studio di scale e diteggiatura.
Come in cucina, si deve prima decidere quale ricetta si intende preparare per poi poter scegliere gli ingredienti appropriati. La capacità di un grande chef è anche nella conoscenza e nella selezione accurata degli ingredienti, per questo motivo la mano di un valido cuoco si apprezza anche nelle ricette più semplici.
Il modello di sound che portiamo in mente e a cui aspiriamo viene definito dagli anglosassoni "tone reference" e naturalmente nella maggior parte dei casi è ispirato dal chitarrista o dai chitarristi che hanno maggiormente impressionato il nostro immaginario musicale.
Nella seconda metà degli anni '60 chitarristi come Mike Bloomfield, Keith Richards, Eric Clapton, Peter Green, Mick Taylor, Jeff Beck, Jimmy Page, Paul Kossoff e Stan Webb scoprirono il grande universo sonoro delle Gibson Les Paul prodotte nel decennio precedente. Sono di fatto i primi ad aver rivalutato le chitarre di produzione vintage con lungimiranza. I suoni di questi musicisti sono indicati come tone refrence da moltissimi chitarristi in tutto il mondo e per questo motivo le Gibson Les Paul Model Cherry Sunburst prodotte tra il 1958 ed il 1960 sono considerate oggi "le Steinway D delle solid body".
Le chitarre anni '60 a quattro pickup di fabbricazione giapponese tipo Teisco, Kawai o Kingston erano espressamente concepite come strumenti super economici di serie B, ma si sposavano perfettamente con la poetica proto-punk e il sound selvaggio e irriverente del grande Hound Dog Taylor. Con ogni probabilità il vecchio bluesman selezionava le chitarre su cui posare le sue undici dita con molta più consapevolezza di quel che si potrebbe ritenere. In quest'ottica sono state rivalutate anche le sonorità di tante altre "chitarrine di serie B" come Harmony, Kay, Stella o le fetish guitar italiane anni '60. Roger McGuinn dei Byrds scoprì il suo innovativo suono "'jingle-jangle" imbracciando una Rickenbacker 12 corde.
Dunque il punto essenziale non è scegliere la chitarra più prestigiosa che esista, ammesso di potersela permettere, ma appunto la consapevolezza del tone reference a cui si aspira in funzione della musica che si ha intenzione di suonare.
Tanto meglio se il nostro obiettivo non è imitare pedissequamente un dato chitarrista ma trarre ispirazione dal suo suono per poi elaborarlo con la nostra tecnica personale, filtrarlo con la nostra sensibilità e, manco a dirlo, interpretarlo con il tocco delle nostre dita. Il mondo non ha bisogno di cloni ma di teste pensanti e di musicisti con una personalità creativa e una sensibilità musicale propria.
Jimi Hendrix, più di ogni altro, ci ha insegnato che la chitarra elettrica non termina dove finisce il manico, ma è uno strumento integrato in un sistema complesso che include amplificazione, effetti e perfino tecniche di registrazione.
Ogni elemento della strumentazione è un tassello che concorre a creare il quadro completo del suono e ogni passaggio è un anello della catena che gioca un ruolo, importante o secondario ma mai trascurabile. Dati per scontati il chitarrista e l’inimitabile tocco delle sue dita, il suono della chitarra elettrica è una ricetta in cui l’importanza di ciascun ingrediente non va sottovalutata.
Ho visto chitarristi denigrare ottimi strumenti vintage originali solo perché avevano corde completamente andate. Mi hanno replicato "Una chitarra non è buona soltanto perché è vintage!". Non so per quale motivo molte persone, quando si parla di chitarre, stentano a comprendere dei concetti che risultano elementari quando vengono trasposti in altri campi, per esempio le automobili. Se vi mostrassero una Ferrari con un vecchio treno di gomme con il battistrada usurato, la disprezzereste come una cattiva auto? D’altra parte, fareste mai un viaggio in autostrada con una Ferrari con delle vecchie gomme ingottate e lisce? Personalmente mi sentirei più sicuro a viaggiare con una Fiat 600 con un treno di pneumatici nuovo di zecca ma questo certo non fa della Fiat 600 un'auto migliore della Ferrari. Anche la migliore automobile serve a poco senza un'appropriata revisione meccanica e senza un serbatoio pieno. Spesso, per riportare una chitarra vintage sonnecchiante ai vecchi fasti, basta un cacciavite, un po' di olio lubrificante e una buona muta di corde.
Partendo dalle corde, ogni più piccolo elemento coinvolto nella catena concorre in modo differente a creare il suono. Spesso è sottovalutato il ruolo di quelle piccole parti di hardware che trasferiscono le vibrazioni delle corde al legno: blocca-corde, thumbwheel, stud, ponte, sellette, capotasto, meccaniche, la tensione del truss rod... ognuna di queste parti riveste un ruolo più importante di quel che si potrebbe credere nel generare il suono "acustico" del nostro strumento, in interazione con i legni di body e manico. Naturalmente il passo successivo del percorso è l’amplificazione e quindi importanza fondamentale rivestono la timbrica e la risposta dinamica dei pickup, seguono il condensatore dei toni e il circuito elettrico, i cavi, gli effetti e i connettori con cui è assemblata la nostra pedaliera. Il risultato cambia anche a seconda dell’interazione tra gli effetti e questa interazione cambia a seconda dell’ordine in cui gli stompbox sono disposti nella pedaliera. Il segnale arriva poi all’amplificatore o agli amplificatori, la cui resa varia a seconda della regolazione dei controlli, della loro circuitazione, della componentistica e del modo in cui è assemblata, della qualità e del grado di usura delle valvole, della costruzione del cabinet, della qualità degli speaker e persino della tensione della corrente di alimentazione e della loro disposizione sul palco. La catena non termina qui perché entrano in gioco l’acustica dell’ambiente in cui stiamo suonando e, nel caso di amplificazione su impianto o di registrazione, occorre considerare le caratteristiche dei microfoni impiegati e le tecniche di ripresa sonora. Le variabili quindi sono davvero infinite.
Bisogna essere sempre pronti a mettere in discussione i propri strumenti ed esaminare il nostro suono con spirito critico per individuarne limiti e margini di miglioramento.
Molti musicisti sono legati alla propria chitarra da un valore affettivo, che è generalmente un bel sentimento romantico che infonde sicurezza e rafforza il senso di appartenenza al proprio strumento.
Occorre tuttavia domandarsi se la chitarra a cui si è scelto di legarsi sia davvero un punto di arrivo ideale. Molti chitarristi sono pronti a difendere a spada tratta i loro strumenti a priori, senza domandarsi se la propria strumentazione possa essere migliorata. È importante saper riconoscere quando ci si imbatte in strumenti superiori, l’atteggiamento della volpe con l’uva nella fiaba di Esopo non è costruttivo e non aiuta né il chitarrista né il suo pubblico.
Un altro problema comune è che molto spesso i chitarristi, nello scegliere le chitarre, si lasciano influenzare troppo dal look o dal colore. Tutti siamo un po’ affetti da vanità da palco e tutti siamo sensibili al fascino di una Stratocaster color Shoreline Gold nuova fiammante o di una Gretsch White Falcon appena sfornata dal Custom Shop, ma il suono di una chitarra è sempre all’altezza del suo aspetto esteriore? Recentemente mi è capitato di provare in un negozio due bellissime Stratocaster del Custom Shop Fender, il cui prezzo di vendita si aggira intorno ai 5mila euro. Il mio parere? È per me inconcepibile spendere una cifra simile su chitarre con dei pickup dalla resa assai discutibile: una Stratocaster palettona colore natural del 1974 non sarà altrettanto figa e fascinosa ma costa la metà e suona tre volte meglio in termini di espressività, versatilità e bilanciamento di frequenze. Tra le chitarre esteticamente più belle che abbia mai preso tra le mani ci sono una Stratocaster vintage originale del 1963 in custom color Fiesta Red e una Gibson SG Standard Cherry Red del 1966 ancora in condizioni pari al nuovo: suonavano molto peggio di tante altre chitarre vintage che ho provato, magari rovinate, sverniciate e con parti sostituite. Spesso una chitarra rimasta chiusa in custodia per decenni, per quanto preservata in originalità e condizioni estetiche, suona più spenta di una chitarra passata di mano in mano attraverso battaglie di ogni tipo o addirittura con un manico o una paletta spezzati di netto e riparati.
Nel 1991 acquistai in un negozio di Londra una chitarra splendida. Era una nuova reissue di Gibson Firebird Reverse V del '63 in colore Polaris White. All'epoca era una chitarra rara dal look molto esclusivo e mi ci affezionai. Cinque o sei anni dopo presi la sofferta decisione di rivenderla per poter acquistare una Gibson Les Paul Junior double cutaway del 1959, con finitura Cherry completamente sbiadita e virata al marrone e meccaniche sostituite con delle brutte Schaller con l’involucro in plastica. Il motivo? La Firebird era una chitarra esteticamente splendida, molto più bella della vecchia Junior maltrattata ma, dopo un'analisi attenta, aveva un attacco smussato e un suono poco incisivo, con sbavature di risonanze indesiderabili. La Junior double cut aveva un suono secco, presente, una definizione sugli accordi eccellente e una timbrica calda, espressiva e vellutata che la rendeva insuperabile con il bottleneck.
Troppo spesso per esprimere il parere su una chitarra si usa l’espressione generica e inflazionata "suona da paura", giudizio magari influenzato dal suo look accattivante. Si fa spesso ricorso a questa frase fatta senza compiere una vera analisi e maturare un giudizio oculato, critico e argomentato nel merito delle sue caratteristiche sonore.
In conclusione ogni chitarrista dovrebbe fare una ricerca della strumentazione appropriata, non si può fare della buona musica trascurando il suono e il valore intrinseco della strumentazione che si utilizza. La timbrica degli strumenti deve essere sempre funzionale al discorso musicale nostro e della band in cui suoniamo. Per fare un esempio, molti chitarristi di duo elettrici chitarra/batteria adottano soluzioni per coprire almeno in parte anche lo spettro di frequenze che in una band tradizionale occupa il basso.
Un buono strumento può essere una fonte di ispirazione per il chitarrista e influenzare positivamente la sua musica. In questo senso, il genio di Leo Fender e di Ted McCarty ha indiscutibilmente giocato un ruolo di primo piano nella storia della musica del XX secolo. Le loro creazioni hanno anticipato le rivoluzioni del rock'n'roll e del beat, influenzando intere generazioni di musicisti.
Tanto per citare un esempio noto a tutti, non è forse un caso che Eric Clapton abbia prodotto le migliori pagine della sua musica imbracciando chitarre leggendarie come la Les Paul "Beano", la ES-335 "Crossroads" o la Stratocaster "Blackie" e che la sua musica sia divenuta molto meno interessante una volta persa la formula magica di cui queste chitarre erano ingrediente irrinunciabile.