Ammettiamolo: tutti, prima o poi, agogniamo una Les Paul Gold Top con i P90. È una chitarra iconica: il suono, la colorazione, il contrasto fra l’oro e il bianco delle saponette mandano in visibilio migliaia di chitarristi.
Purtroppo non tutti possono permettersi una Custom, e io rientro perfettamente in questa categoria. Ma i sogni, si sa, sono duri a svanire e quindi ci si rivolge a soluzioni più abbordabili e, anche in questo caso, mi ritrovo perfettamente in questa categoria. Abbandonata l’idea di una lawsuit, visto il lievitare dei prezzi odierni, anni fa mi rivolsi al sottomarchio della grande G per eccellenza, ossia Epiphone.
Devo fare una doverosa premessa. In primo luogo, prima di giudicare una chitarra o un ampli o qualsiasi altra cosa, sono solito tenere a mente il prezzo: se una chitarra per esempio costa 300 euro, mi aspetto una qualità correlata al prezzo. Insomma, non mi aspetto il miracolo e sono anche disposto a chiudere più di un occhio su alcune inevitabili lacune. Ma torniamo al nocciolo: qualche anno fa, da chitarrista sognatore/squattrinato, acquistai una Epiphone gold top 56. È una di quelle poche chitarre che ho rivenduto senza rimorso alcuno.
Partiamo dall’aspetto (che è un po’ il motivo alla base del titolo): mai e ripeto mai mi sarei immaginato di vedere un gold così brutto. Un giallo paglierino richiamante vagamente l’urina tutto tempestato di glitter il cui luccicare era visibile a occhio nudo a chilometri di distanza. Brutto e poco fedele.
Il giudizio negativo non si ferma alla sola finitura. In controluce, all’altezza della giunzione fra body e top, era chiaramente visibile uno spazio fra manico e corpo riempito maldestramente con un pezzo di legno. Lo stacco era evidente, nonché di una bruttezza unica.
Sconsolato dall’impatto visivo, passai alla prova sonora e anche qui la delusione prese il sopravvento.
Il suono anonimo ed estremamente gonfio rendeva quasi inutilizzabile il pickup al manico. Insomma, il "tumb" tipico dell’attacco dei P90 era stato sostituito da un suono grosso al limite dell’ingestibile. Seppur vagamente interessante in territorio di overdrive, risultava pessimo in tutte le altre situazioni o meglio nelle situazioni in cui avrei sfruttato io la chitarra.
Per concludere questo breve massacro, aggiungo che il manico a D slim Epiphone è una delle cose più insopportabili, a mio modesto avviso.
Ma ci sarà pure un punto positivo? Sì: le meccaniche Grover facevano il loro dovere.
Sconsolato, decisi che non mi sarei mai più rivolto a Epiphone per una gold top da battaglia. Nonostante le mille soddisfazioni che il marchio mi ha restituito con acustiche e semiacustiche, il giudizio su questo ammasso di glitter fu negativo in modo categorico.
Passano gli anni ed Epiphone ci riprova. Nel 2013 esce la nuova linea di Les Paul '56 Inspired, con il nuovo e accattivante nome di '56 Les Paul Pro.
Scettico, comincio a leggere i vari forum e a vedere le varie videorecensioni: nuovi P90, manico generoso, gold più corretto. Sarà vero? Ne varrà la pena?
Dopo mesi e mesi di tentennamenti, data l’impossibilità di trovarne una in zona, decido di acquistarne una usata a scatola chiusa.
Cominciamo da dove tutto è nato: l’aspetto. Che dire, il gold è effettivamente più corretto. Via quei glitter orribili, addio a quel giallo richiamante l’urina. La piccola si presenta in un gradevole gold che richiama la finitura leggendaria che tutti amiamo. Non è sicuramente quel gold tendente al verde, ma i riflessi bronzati, seppur timidi, sono presenti e restituiscono alla chitarra un aspetto sicuramente più gradevole. Una piccola sbavatura di vernice giace sul manico, all’altezza dell’attacco con il corpo: pazienza, è una di quelle imperfezioni che è lecito aspettarsi in chitarre entry-level. Parlando di difetti, devo ammettere che il battipenna non è dei migliori. Infatti, risulta poco rifinito e manca di sinuosità. Pazienza.
Le meccaniche Grover lasciano il posto a delle Kluson storicamente più corrette. Pur apprezzando la scelta dal lato estetico, devo dire che le Grover del precedente modello erano leggermente più affidabili.
Il manico è molto generoso. Un bel profilo '50 a mazza da baseball che farà la gioia di molti chitarristi, me compreso. Purtroppo, questa caratteristica è molto rara in chitarre di questa fascia di prezzo.
Ho tardato a dare un giudizio sul suono: ho voluto provarla per bene e darle il battesimo del fuoco con una serata live prima di rispondere a questo fondamentale quesito. Il mio territorio di prova è il jump blues e il boogie, ergo, la mia attenzione va dal pulito al leggerissimo overdrive.
I nuovi P90 mantengono quasi tutte le promesse. Il suono è più fedele: non si ha più la sensazione di suonare con humbucker scarichi (come con la precedente gold), piuttosto con dei single coil gonfi. Il ponte graffia, il manico restituisce un suono caldo e al contempo chiaro e basta chiudere i toni per ottenere sonorità jazzy. La posizione centrale è uno spasso e offre quella sorta di sentore di controfase. I bassi sono molto veloci e presenti, ma al contempo chiari ed estremamente gestibili.
Insomma, il suono mi soddisfa in pieno e la chitarra vale ogni euro speso. Ci sono dei difetti? Certo, ma parliamo sempre di una chitarra entry-level il cui suono, però, è di fascia ben superiore.
Epiphone ha fatto centro, secondo me, grazie a P90 di buona fattura, gold ben fatto e, soprattutto, un bel manico grosso che ben si addice alle mie zampacce.
A questo punto, resto in trepidante attesa delle novità estive di casa Epiphone presentate proprio qui nei giorni precedenti. |