Ritengo l'insieme cassa-altoparlante un anello d'importanza cruciale nella definizione del suono di una chitarra elettrica. Tutto l'alnico, i transistor e le valvole che possiamo mettere insieme con spese e fatica passano inevitabilmente per un diffusore prima di arrivare all'orecchio, una scatola di legno che vibra insieme a un cono e, a seconda di come diffonde le proprie vibrazioni nell'ambiente circostante, ci dice se è lei "quella giusta".
Di altoparlanti ne esistono a centinaia, di cabinet pure, e si potrebbe passare una vita intera a provare tutte le combinazioni alla ricerca della nuance perfetta senza riuscire ad ascoltarle tutte. In maniera simile alla cassa di risonanza di uno strumento acustico, il cabinet dà voce alla chitarra amplificata, fa risuonare il cono e sarebbe lecito immaginare che una cassa ben studiata possa essere l'ago della bilancia tra un suono cattivo e uno buono, o tra uno buono e uno ottimo. Quando si collega un amplificatore a due altoparlanti diversi, le differenze saltano subito all'orecchio, e capita lo stesso anche quando si monta il medesimo altoparlante su casse diverse e le si sente vibrare nell'ambiente, con i bassi che fanno tremare il pavimento e la "pancia" che rimbalza sul fondo del palco per tornare da lì al pubblico con una voce propria. Ma cosa resta di queste peculiarità quando ci si trova sul palco con un microfono appiccicato alla membrana dell'altoparlante, senza possibilità alcuna di captare le vibrazioni omnidirezionali che ci fanno preferire un cabinet in multistrato di betulla, o magari in massello, a un vile truciolato o altri materiali meno "acustici"? Me lo sono chiesto spesso, e alla fine ho provato a darmi una risposta.
Quando ci si trova a sfogliare i cataloghi dei grandi marchi, è facile incappare in casse per chitarra apparentemente equivalenti, talvolta con i medesimi coni, ma vendute a prezzi molto diversi. Di solito, basta una prova in negozio per comprendere la motivazione di quel gap, ma sui palchi che prevedono microfonazioni, mixer e PA, l'influenza dell'ambiente sul suono che forniamo al fonico è limitata, e quel classico Shure piazzato davanti al cono difficilmente potrà catturare il vento che ci scuote i pantaloni a ogni powerchord e quei medi sapientemente arrotondati da un mobile in buon legno.
Nel tentativo di farmi un'opinione a riguardo, ho voluto fare un esperimento sul campo per capire cosa effettivamente un cabinet può dare al suono in una situazione live.
Ho ricreato in studio due situazioni contrapposte, estreme, per ottenere differenze sonore più marcate possibili e tentare di giustificare (o meno) la ricerca di un buon cabinet quando il suo scopo è di essere microfonato da vicino su un palco.
Ho recuperato una vecchia cassa Hughes & Kettner, un ammasso di truciolato con un cono Celestion Rockdriver Junior che ha sempre fatto il suo lavoro, pur senza particolari meriti. È un cabinet closed back economico, originariamente un amplificatore combo, quindi probabilmente anche le sue misure prestano più attenzioni al circuito che doveva contenere piuttosto che il litraggio richiesto dall'altoparlante. In poche parole, è una cassa "sbagliata", che dovrebbe in qualche maniera rovinare il suono vero del cono.
Ho registrato qualche nota con lei e poi ho tirato via l'altoparlante. Non l'ho montato su un'altra cassa: le variabili in gioco sarebbero state troppe. Ho preferito invece registrarlo così, senza alcun cabinet. In questo modo avrei avuto il suono puro dell'altoparlante, e qualunque differenza timbrica ottenuta avrebbe stabilito il punto massimo entro il quale altre casse potevano modificare a loro volta il suono. Anche se, vedremo, non è del tutto corretto.
L'esperimento ha fornito gli spunti per varie riflessioni.
Innanzitutto un cambiamento c'è. Però, va detto, non è radicale come quello che si può sentire con le proprie orecchie quando si suona un cono "nudo" appena rimosso dalla cassa.
Un altro aspetto che mi ha colpito è il modo in cui è cambiato il contenuto armonico del suono. L'ascolto "in diretta" suggeriva che l'assenza di cabinet ha reso il suono più improntato sui medio-alti, più diretto senza una cassa che facesse risuonare le frequenze più basse. Quello ripreso dal microfono, invece, dice l'opposto: senza un cabinet (per giunta closed back), non avviene la cancellazione di fase evidente sulle frequenze più basse che, rimbalzando all'interno della cassa, non arrivavano alla capsula. Il tono ne risulta quindi ingrossato, forse anche troppo, ma nulla a cui un'equalizzazione a valle non possa rimediare.
Da qui, si può immaginare che un cabinet non solo modifica il suono anche se è ripreso da un microfono vicinissimo al cono, ma che lo fa in una maniera diversa rispetto a quello che avvertiamo solitamente nell'ambiente. Insomma, una cassa ben studiata può essere effettivamente capace di modellare il tono di un altoparlante, tenendone a bada certi vizi o sopperendo a eventuali buchi di frequenze. In ultimo, non è detto che le differenze colte all'orecchio siano esattamente quelle che arrivano al mixer.
Tutto però, in definitiva, è compreso nei limiti delle solite, care, vecchie sfumature. Quanti euro possano valere quelle sfumature, a parità di cono, lo lascio decidere a voi. |