L'ultimo album di, , pubblicato da è un disco elegante, suonato in punta di plettro: funk, RnB, jazz, blues convivono armoniosamente in una manciata di canzoni solari e vellutate nelle quali il chitarrista napoletano suona con gusto e passione, per niente preoccupato dall'idea di dover stupire con soluzioni cervellotiche o funamboliche ma unicamente concentrato nel fare musica piacevole e divertentente da suonare e ascoltare. Abbiamo incontrato Mimmo per farci raccontare la produzione del suo album.
All’inizio della realizzazione del disco avevi già una visione chiara del sound che avresti voluto ottenere? Oppure quello che ascoltiamo è il sound che, spontaneamente, è nato dall’interplay della produzione?
Un po’ la prima che hai detto e un po’ la seconda; ero partito con un’idea precisa perché cercavo un sound asciutto ed essenziale e volevo registrare il disco in trio, solo con basso e batteria. Desideravo staccarmi dal sound dei miei primi tre dischi in cui è sempre presente uno strumento armonico come il piano Rhodes o l’organo Hammond; cercavo il suono di un trio che non fosse quello del power trio hendrixiano ma nemmeno quello del classico trio jazz. Tuttavia, come credo succeda per la realizzazione di ogni opera artistica, il risultato finale è sempre influenzato da variabili sulle quali il produttore, che sarei io, per forza di cose non ha il controllo totale. Tutte le persone coinvolte nel progetto contribuiscono, in misura diversa, al risultato finale. In primis i musicisti…
Che in questo caso sono?
Al basso si dividono il lavoro Daniele Sorrentino e Gabriele Lazzarotti mentre alla batteria c’è Pasquale De Paola.
E quindi il lavoro ha preso una direzione sonora differente?
I musicisti danno il loro apporto in termini di tocco, sensibilità. Ma anche i tecnici…quindi, per quanto tu possa avere le idee chiare, il senso estetico e sonoro esatto di ciò che otterrai alla fine di una produzione, lo saprai solo…alla fine, quando i giochi ormai sono fatti. E quello che un artista si augura è che il prodotto finale non si discosti poi tanto da ciò che aveva in mente all’inizio.
E questo nel tuo caso è successo?
Assolutamente. Per quanto mi riguarda, sono molto soddisfatto della produzione del disco; è stato accolto bene sia dalla critica specializzata e gli addetti ai lavori, sia dal pubblico.
Chi sono i dischi e gli artisti più presenti in questo lavoro come riferimenti, influenze?
Non saprei dirti, la lista è davvero lunga. Tuttavia posso dirti che, prima della registrazione di un nuovo disco, i miei ascolti si concentrano su pochi titoli; stavolta direi Al Green (Lay It Down), Paolo Nutini (Caustic Love), Doyle Bramhall II (Rich Man), Jim Campilongo (Dream Dictionary) e Julian Lage (Modern Lore), più i soliti Jim Hall, John Scofield, Bill Frisell, Robben Ford e Steely Dan!
Questo disco, a partire dalla foto di copertina, sembra una dichiarazione d’amore alla Les Paul; raccontaci il tuo rapporto con questo strumento…
È una chitarra che adoro! In genere, capita che dopo un po’ mi stanchi di uno strumento, probabilmente perché man mano ne scopro i difetti e, di conseguenza, me ne disaffeziono. Invece, con la mia Gold Top mi è successo l’esatto contrario: mi piace sempre di più e il nostro legame è sempre più stretto. Anche se durante le registrazioni, mi ha dato qualche grattacapo…
Che è successo?
Ho avuto qualche problema a causa della vernice al nitro del manico che con l’umidità diventa una specie di colla e limita notevolmente la fluidità della mano sinistra sulla tastiera.
Che Gold Top è la tua?
Una riedizione del modello del ’56, con due pick-up P90.
Sei un chitarrista monogamo, quindi…
Non proprio. Ora mi è arrivata anche una nuova Suhr, una Custom Classic T HSS con ponte Gotoh 510 – 2 post bent saddle e tre pick-up. È uno strumento a dir poco eccezionale, ed è stato amore a prima vista. La sto utilizzando molto e ora, infatti, la Les Paul è molto gelosa!
Ti ricordi i tre pick up cosa sono?
Un S90 al manico, un ML Standard al centro e un Thornbucker + al ponte.
Raccontaci le chitarre utilizzate nel disco e la strumentazione impiegata nelle registrazioni…
Ho usato esclusivamente la Les Paul di cui sopra, tranne che sul brano di chiusura, “Impossible Love” dove ho utilizzato una chitarra classica Alhambra 8C.
Come amplificatore ho usato un Victoria Victoriette 1x12”. Invece, solo per le chitarre di accompagnamento di “The First Day”, un Fender Twin Reverb Reissue. Ora però sono passato agli amplificatori Mezzabarba: uso un combo Z35 1x12” customizzato su mie specifiche. È un ampli meraviglioso!
Per quanto riguarda gli effetti, il tremolo su “More Soul” è quello del Victoriette, su “Inner City Blues” ho usato un wah Fulltone Clyde Standard, l’overdrive è il Maxon OD-820, su “Kool Man” e “Old School Lady” c’è una nota pedale suonata al contrario attraverso il looper Tc Electronic Ditto X2.
Mi ha colpito l’utilizzo che, di tanto in tanto, fai di una fantastica sonorità leslie nel tuo fraseggio…
Il suono tipo Leslie lo ottengo da un vecchio Chorus Flanger della Tc Electronic.
Altro elemento decisivo del mio suono e della mia strumentazione, sono le corde.
Su tutte le mie chitarre monto corde Galli, marchio storico di corde italiane prodotte nella mia città. Sulle elettriche uso sempre le RS1046, nickel round wound: sia per quelle a scale lunga sia per quelle a scala corta!
In un momento nel quale sempre più musicisti si sentono scoraggiati all’idea di fare un disco, tu dove hai trovato la motivazione?
Produrre un album nell'era dello streaming è da inguaribili ottimisti e gli artisti devono esserlo, per forza! L’urgenza espressiva di un’artista non vuole sentire ragioni: d’altro canto, piangersi addosso non ha mai prodotto alcun risultato positivo per la carriera di un musicista!
La prossima settimana torneremo in compagnia di Mimmo Langella per addentrarci nel suo linguaggio solista. Langella ha preparato per i lettori di Accordo una ricca ed esclusiva lezione estrapolando gustosi fraseggi dal suo "A Kind Of Sound". |