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Grammy a Bonnie Raitt: trionfo o truffa?
Grammy a Bonnie Raitt: trionfo o truffa?
di [user #116] - pubblicato il

La vittoria di Bonnie Raitt con "Just Like That" nella prestigiosa categoria Canzone dell'anno al 65° Grammy Award segna il ritorno trionfale del song-writing che canta storie di vita di tutti i giorni. Ma per una parte dell'industria musicale è stata una truffa. Abbiamo tradotto la riflessione di Paul Cutler pubblicata su "Crossroads - Americana Music Appreciation".

La rivista Rolling Stone è stata tra le prime a reagire alla scelta shock con un titolo che molti potrebbero ritenere offensivo: "WTF: Bonnie Raitt vince la canzone dell'anno".

L'articolo comincia in modo condiscendente: “Per essere molto chiari, Bonnie Raitt è una leggenda assoluta. "Just Like That" è una canzone stellare ed è incredibile che Bonnie sia la prima donna sopra i 50 anni a vincere la canzone dell'anno nella storia dei Grammy". Ma poi ha continuato così: "Detto questo, darle a lei premio anziché a brani popolari e futuri classici di artisti come Taylor Swift, Harry Styles, Kendrick Lamar, Beyonce e gli altri candidati è stato un errore tipico del Grammy, probabilmente alimentato (sic) dal riconoscimento del nome da parte dei componenti più anziani della giuria". E conclude: "Pensavamo che al Grammy fossero finiti i tempi delle scelte bizzarre e fuori dal mondo, ma a quanto pare non è così".

Esquire considera la vittoria di Bonnie il "voto del caos". Dave Holmes ha scritto: "Era già una notte strana molto prima che la vecchia Bonnie con il suo "Just Like That" rubasse il premio per la canzone dell'anno a "As It Was" di Harry Styles e "Break My Soul" di Beyonce. "Just Like That" è una canzone che nessuno aveva sentito fino a questa mattina, lasciandoci a chiederci se si sia deciso di dare il premio alla carriera a una veterana del Grammy oppure se sia stata una trovata originale per chiedere una nuova serie di Sex and the City".

Ci sono stati anche commenti più gentili.

La reazione del New York Times è arrivata con il titolo "Best Graceful Shocked Reaction: Bonnie Raitt" (più o meno: La Migliore Reazione Tenera Sconcertata"). Il critico pop Jon Pareles ha commentato: "È una delle cantanti e cantautrici mature che sono state relegate a format come "Americana" e "Legacy". Ma Raitt ha imparato dai migliori – in particolare da John Prine – come raccontare una storia triste, ma edificante, soltanto con una voce e una piccola band. Una percentuale di votanti sufficiente a elevarla al di sopra di Beyonce e Adele ha evidentemente riconosciuto la miscela di passione e qualità di costruzione del brano".

Anche Sam Sodomsky di Pitchfork ha condiviso l'opinione: “Ispirata dalla narrazione empatica di John Prine, è una canzone semplice che trabocca di emozione genuina, connessione umana e la bellezza dell'inaspettato. Opportunamente, la Raitt ha mostrato le stesse emozioni mentre ringraziava il pubblico, con visibile sorpresa e la gratitudine per un premio conquistato con fatica".

In effetti, nel suo sincero discorso di accettazione, Raitt ha invocato la memoria e il lavoro del suo amico John Prine, scomparso a causa delle complicazioni del COVID nel 2020. Ha detto: «La canzone è piaciuta anche per quanto amo... per quanto tutti amiamo... John Prine. Lui ha ispirato la musica di questa canzone e il racconto di una storia "da dentro"».

Grammy a Bonnie Raitt: trionfo o truffa?

Come è accaduto molte canzoni di Prine, in particolare quelle dei suoi primi anni, Raitt è stata spinta a scrivere "Just Like That" mentre rifletteva su un evento della vita reale che l'ha commossa emotivamente.

In un'intervista con il New York Times prima dei Grammy, Raitt ha spiegato in dettaglio come le è venuto in mente il lento e accattivante "Just Like That": "E successo all'improvviso, ho visto un programma di notizie in cui una troupe ha seguito una donna a casa del ragazzo che ha ricevuto il cuore di suo figlio. Avevo un groppo in gola, è stato molto emozionante”.

Ha aggiunto: “E quando le ha chiesto di sedersi accanto a lui e le ha chiesto se le sarebbe piaciuto appoggiare la testa sul suo petto e ascoltare il suo cuore... ecco, fino a oggi non ero riuscita a raccontare la storia senza farmi venire un groppo in gola tanto è commovente.

Traduce la storia in forma lirica scrivendo in prima persona e ambientando uno scenario in cui uno sconosciuto si avvicina alla casa della madre addolorata che lo fa entrare perché qualcosa nell'uomo la mette a suo agio. E poi lui racconta perché è lì.

I’ve spent years just trying to find you
So I could easily let you know
It was your son’s heart that saved me
And a life you gave us both

Le storie di vita reale nelle canzoni non è niente di nuovo, risale a grandi artisti folk come Woody Guthrie e al suo devoto ammiratore Bob Dylan.

Grammy a Bonnie Raitt: trionfo o truffa?

Anche Guthrie è stato motivato dalle notizie quando ha scritto il suo classico "Deportee (Plane Wreck at Los Gatos)". Nel gennaio 1948, Guthrie era sconvolto dal fatto che la maggior parte della copertura radiofonica e giornalistica di un incidente aereo mortale nel Los Gatos Canyon, in California, non avesse fornito i nomi delle vittime - a parte l'equipaggio e una guardia di sicurezza - ma si fosse semplicemente riferito ai passeggeri come “deportati:”

Goodbye to my Juan, goodbye Rosalita
Adios mis amigos, Jesus y Maria
You won’t have your names 
When you ride the big airplane
All they will call you will be deportees

Gran parte del lavoro di Dylan all'inizio della carriera nei club del Greenwich Village era legato a questioni sociali ed eventi della giornata. La maggior parte delle sue canzoni erano in qualche modo astratte nei contenuti, ma tra quelle più agganciate alla realtà c'era "The Lonesome Death of Hattie Carroll", tratto dall'album dirompente "The Times They Are a-Changin" pubblicato nel 1964.

Grammy a Bonnie Raitt: trionfo o truffa?

Dylan aveva letto su un giornale la vicenda della morte della barista afroamericana di 51 anni Hattie Carroll, aggredita dal ricco coltivatore di tabacco William Zantzinger nel centro di Baltimora. Anche se non tutti i fatti riportati da Dylan sono esatti - per esempio il nome dell'aggressore è sbagliato - la sua canzone racconta ciò che lui ha interpretato come un attacco razzista.

Got killed by a blow, lay slain by a cane
That sailed through the air and came down through the room
Doomed and determined to destroy all the gentle
And she never done nothing to William Zanzinger

Dylan in seguito disse a un conduttore di un talk show: “Ho preso la storia da un giornale e l'ho usato per qualcosa che volevo dire. E lo ha detto al meglio nello straordinario ritornello:

But you who philosophize disgrace
And criticize all fears
Bury the rag deep in your face
For now is the time for your tears

È stato proprio questo ritornello a influenzare John Prine quando ha scritto una delle sue canzoni più accattivanti basata su un evento della vita reale.

Quattordici anni dopo "Hattie Carroll" John Prine ha pubblicato il suo racconto oscuro "Bruised Orange (Chain of Sorrow)", basato su una sua esperienza d'infanzia, quando era chierichetto in una chiesa cattolica dell'Illinois. Una domenica mattina presto, mentre andava a spalare la neve dai gradini della chiesa prima della messa, si era imbattuto in un incidente in cui un altro chierichetto era stato ucciso da un treno di pendolari locali. Come con Dylan,  i fatti della tragedia sono nel testo :

I heard sirens on the train track howl naked gettin' nuder,
An altar boy's been hit by a local commuter
Just from walking with his back turned
To the train that was coming so slow.

E poi, come aveva fatto Dylan in Hattie Carroll, anche John Prine mette la sua riflessione nel ritornello:

You can gaze out the window get mad and get madder,
Throw your hands in the air, say 'what does it matter?'
But it don't do no good to get angry,
So help me I know
For a heart stained in anger grows weak and grows bitter.
You become your own prisoner as you watch yourself sit there
Wrapped up in a trap of your very own
Chain of sorrow.

Il riferimento di Bonnie Raitt a John Prine che "racconta le storie da dentro" si coglie al meglio in una delle primissime canzoni di Prine, "Hello in There", dall'album omonimo di debutto del 1971, che include anche "Angel from Montgomery", brano che Raitt avrebbe fatto sua con una maestosa versione del 1974.

Prine ha usato un altro ricordo della sua educazione per scrivere "Hello in There". Da adolescente consegnava giornali a Chicago e il suo giro includeva una casa per anziani. In seguito ha ricordato: "Quando stavo scrivendo la canzone ho pensato che queste persone hanno intere vite lì dentro. Non sono scrittori ma hanno una storia da raccontare".

Così Prine ha scelto di riflettere sulle storie di queste persone anziane attraverso la narrazione in prima persona:

We lost Davy in the Korean War
And I still don't know what for
Doesn't matter anymore
You know that old trees just grow stronger
And old rivers grow wilder every day
Old people just grow lonesome
Waiting for someone to say, "hello in there hello"
 
E allora il successo della ballata triste "Just Like That" di Bonnie Raitt può essere letto come promemoria estemporaneo del fatto che c'è ancora posto nell'industria musicale per un buon racconto,  compassionevole e di stile classico, anche se potrebbe essere "relegata a formati come Americana.

Grammy a Bonnie Raitt: trionfo o truffa?

La Recording Academy dovrebbe sentirsi orgogliosa di aver scelto una Raitt anziché una Beyonce! E non dovrebbe lasciarsi intimidire dalla macchina del marketing multimilionario che influenza i media musicali tradizionali.

Paul Cutler, editor di "Crossroads - Americana Music Appreciation".
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L'articolo originale
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di DiPaolo [user #48659]
commento del 09/02/2023 ore 10:04:35
Sono andato ad ascoltare "Just Like That", bellissima canzone che acquisterei (acquisterò)
vai al link
Mi ricorda Genesis di Jorma Kaukonen "Quah" altro bellissimo brano che ho acquistato da tempo
vai al link
Non ho spazio in casa (ma non solo per questo) non accetterei mai dischi di Taylor Swift, Harry Styles, Kendrick Lamar, Beyonce, neanche regalati.
Rolling Stone può scrivere quello che vuole, ma scrivendo ciò che leggo mi viene subito da pensare "ecco un altro che sale sul carro dei vincenti" come se essere vincenti fosse sinonimo di qualità.
Dal mio punto di vista bene ha fatto la giuria a designare "Just Like That" e di conseguenza Bonnie Raitt vincitrice del 65° Grammy Award.
Certamente i discografici dei maggiori interpreti di successo e tutto l'entourage che segue NON HA GRADITO, ma tant'è, onore e merito alla giuria che ha fatto una scelta di qualità e non commerciale. Paul.
Rispondi
di Gigibagigi [user #49591]
commento del 09/02/2023 ore 10:30:40
Mi trattengo dallo scadere in blasfemie varie, ma quando leggo che "As It Was" di Harry Styles e "Break My Soul" di Beyonce sarebbero "futuri classici" mi esce sangue dagli occhi.
Detto questo, rimaniamo sul formale. Il premio Grammy per canzone dell'anno dev'essere assegnato - traduco letteralmente - "per onorare i risultati artistici, la competenza tecnica e l'eccellenza complessiva nell'industria discografica, indipendentemente dalle vendite di album o dalla posizione in classifica". Se è così, si fo**ano i vari Soloni di riviste che oramai non legge più nessuno, Bonnie ha scritto una canzone che a livello di profondità, emotività, interpretazione è anni luce da qualsiasi bionsé di turno.

P.S.: oltre al premio "grammy", le darei anche il premio "granny" dell'anno, visto che all'età di 73 anni riesce a far mangiare polvere (chiamiamola così) a tanti altri ben più giuovini e freschi.
Rispondi
di TriAxisLover [user #39110]
commento del 09/02/2023 ore 11:41:36
Concordo con la scelta della giuria, composta da gente competente che di musica ne ha ascoltata tanta e di performance ne ha viste a bizzeffe, e, come ha dimostrato nella scelta del brano di Bonnie Raitt, ha badato alla sostanza!
Che poi sia una pregevole chitarrista (c'è poco da discutere) e cantante, non fa altro che impreziosire ancor più le sue creazioni.
Brava Bonnie!!!
Rispondi
di MTB70 [user #26791]
commento del 09/02/2023 ore 17:08:27
Il solito problema dei c.d. soloni e' che quelle riviste devono finanziarsi, e che i soldi arrivano - direttamente o indirettamente - da quell'industria discografica che spinge le varie beyonce del momento. Criticano a prescindere dalla loro opinione personale, perche' difendono la fonte delle loro entrate.

Sulla questione dei futuri classici: avranno fatto il ragionamento che, come chi adesso ha 50-60 anni e ricorda e apprezza la musica dei suoi anni, anche i giovani di oggi invecchiando avranno nel cuore le canzoni della loro giovinezza che diventeranno quindi classici a loro volta.
Formalmente regge...ma in realta' non credo. Semplicemente perche' i giovani non attribuiscono lo stesso peso e valore alla musica (parlo ovviamente sempre per grandi numeri, ovvio che ci siano tante eccezioni). La musica non e' piu' il veicolo del cambiamento della societa' e ha un ruolo molto piu' marginale. E' purtroppo molto piu' "consumata" che amata. E non c'entra la qualita' ma i media che la trasmettono: abbiamo accesso a troppe cose perche' ci sia il tempo di lasciarle sedimentare (una volta si diceva che un disco "cresceva con gli ascolti", ora se non parti col ritornello nessuno ascolta nemmeno una canzone di tre minuti per intero) e tutte le varie piattaforme devono giustificare abbonamenti e quindi proporre qualcosa di sempre nuovo che invogli a rinnovare l'abbonamento, e quindi ogni minuto bisogna far decadere una starlette e farne nascere una nuova.
Beh, il risultato e' che della musica di questi anni rischia di non rimanere nulla. Gli anni dall'invenzione del grammofono fino al Duemila abbondante potrebbero essere raccontati con una sequenza di canzoni, negli ultimi 15 anni non vedo molto che racconti il mondo, sempre beninteso se sto su cose mainstream.
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di rabbitjoke [user #49842]
commento del 09/02/2023 ore 18:58:33
Perfettamente d’accordo con te ! La musica è la colonna sonora della vita, quindi quando penso ai ricordi che avranno questi poveri ragazzi, provo una grande tristezza e tanta rabbia. Possibile che per quattro stronzi che ci fanno i soldi, ci devono rimettere generazioni intere !? Vorrei con tutto il cuore che tornasse il rock, inteso come concetto di libertà. Rock reazionario e rivoluzionario, senza vincoli ed imposizioni …… in fondo non è forse questo la musica (tutta) !?!
Rispondi
di rabbitjoke [user #49842]
commento del 09/02/2023 ore 12:52:09
In un mondo che tutto vuole controllare, che tutto vuole direzionare, che tutto vuol far credere…. è bello veder accadere questi piccoli (e sensati) miracoli !
Rispondi
di alberto biraghi [user #3]
commento del 09/02/2023 ore 17:08:05
Una breve nota a margine: nel corso della commemorazione di Christine McVie alla cerimonia del Grammy, Bonnie Raitt e SherylCrow hanno avuto pesanti problemi di auricolari, sia col click sia addirittura con il pitch della tastiera. Chi capisce di musica se n'è accordo dalle loro espressioni preoccupate. Però hanno continuato a suonare e non hanno preso a calci vasi e distrutto rose. La differenza tra i professionisti veri della musica e alcune transitorie macchiette nostrane è tutta qua.
Rispondi
di marcoecami [user #54447]
commento del 09/02/2023 ore 21:46:43
Quando ci sono giurie popolari, a vincere sono quasi sempre gli artisti più in voga in quel momento e molto spesso sono anche i preferiti dai ragazzini. È quello che accade da qualche anno anche a Sanremo. Quando le giurie sono composte da "critici", hanno maggiori possibilità anche gli artisti che in quel momento non hanno "grosse" spinte commerciali. Preferisco questo metodo di premiazione: è un modo per far scoprire qualcosa che in genere è più raffinato musicalmente o forse meno commerciale.
Rispondi
di MTB70 [user #26791]
commento del 10/02/2023 ore 08:42:26
Anch’io, ma il mantra in questi anni di internet è “partecipazione”, la gggente se non è coinvolta e non si sente protagonista cambia canale. Certo, poi la giuria dovrebbe anche avere delle competenze reali, mica come ad esempio quelli di Ballando, dove 3/5 della giuria non ne capiscono nulla e votano “il percorso” o “le emozioni”, “il mettersi in gioco”…insomma, la fiera del pettegolezzo e della costruzione del personaggio, anziché del ballerino. Ma vabbè, se si volesse fare una cosa di qualità si potrebbe.
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di BigThumb [user #22989]
commento del 10/02/2023 ore 13:00:56
' .. una parte dell'industria musicale..'.
Già, la stessa che crea 'fenomeni' come qualcuno attuale di nostra conoscenza.
Una volta tanto ricordiamoci che anche i 'boomers' suonano, ascoltano e comprano dischi (o cd/dvd).
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