di Denis Buratto [user #16167] - pubblicato il 26 luglio 2013 ore 11:00
2013: l'anno di Lester Polfuss. Per l'occasione abbiamo testato la Tribute, modello celebrativo per antonomasia realizzato in tiratura limitata, una Les Paul dal look vintage e dorata fino all’ultimo centimetro.
Ormai l'abbiamo detto in lungo e in largo, il 2013 è l'anno di Les Paul, Lester Polfuss, colui che incollando insieme due pezzi di mogano ha letteralmente rivoluzionato il mondo della chitarra elettrica. Abbiamo avuto il piacere di testare con Michele Quaini il modello più celebrativo realizzato in tiratura limitata, una Les Paul dal look vintage e dorata fino all’ultimo centimetro.
Un po' come Cristoforo Colombo quando raggiunse le Americhe, pronto a sorseggiare del tè indiano mentre le caravelle si riempivano di seta e spezie, così Lester William Polfuss pensò di aver progettato nel 1952 una perfetta macchina da jazz, ignaro di avere appena posato la prima pietra del rock più duro e cattivo. Già, perché la Les Paul le sue origini le ha dimenticate prestissimo, tanto che tra le mani dei jazzisti troviamo molte più Strat e stratoidi che pezzi di mogano con manico incollato. La chitarra messa a disposizione da Lucky Music è un pezzo molto raro, costruita in meno di 400 esemplari che racchiude in sé pezzi di storia, modernità e leziosità che definire celebrative è quasi riduttivo. Lo strumento è dorato in ogni curva, in ogni angolo, sia del body sia del manico, probabilmente anche negli scassi dei pickup e del vano elettronica. È arricchito dal battipenna con la firma originale di Lester e un’impiallacciatura in acero sulla paletta con il ritratto del genio scomparso nel 2009. Sono dettagli di poco conto per quanto riguarda il sound, ma decisamente d’effetto soprattutto per una chitarra celebrativa come la Les Paul Tribute.
Il modello in prova rappresenta il top della serie Tribute lanciata appunto nel 2013, anno dedicato a Les Paul. A differenza dei modelli ’50, ’60, ’70 e Future, la Les Paul Tribute ruba molti dettagli dal progetto originale del 1952, a partire dal ponte. A differenza del classico Tune-o-matic troviamo infatti un bellissimo wraparound trapeze tailpiece matching Les' 1952 patent, nome lunghissimo e altisonante dietro il quale si nasconde uno tra i più vecchi progetti di casa Gibson. Le corde attraversano il ponte per poi ritornare verso la paletta e le meccaniche, in questo caso delle TonePros vintage-style con ratio di 16:1 e una tenuta dell’accordatura ottima. L’esemplare in prova ha sofferto giusto un po’ nelle fasi iniziali del test a causa delle corde .009 montate e delle enormi mani di Michele che hanno stretchato le corde a suon di bending. Altra caratteristica tecnica che si rifà all’originale Les Paul del 1952 è l’elettronica. Troviamo infatti due bellissimi P90 color crema, collegati ai doppi controlli di volume e tono in perfetto stile fifties.
Classica la scelta delle essenze per la realizzazione della Tribute: mogano per il body e il manico, top in acero bello spesso - anche se nascosto dalla splendida vernice dorata - e palissandro per la tastiera. Quella in prova è una Les Paul nuda e cruda, senza fronzoli elettronici, senza meccaniche robotiche (comunque acquistabili a parte), diretta e pronta a scuotere le fondamenta dello show room di Lucky Music. Abbiamo pensato che sarebbe stato un peccato collegare una chitarra dal sapore così vintage in un amplificatore dal sound moderno, ricco di elettronica e controlli. L’occhio guardingo di Quaini è caduto su una coppia di Dreamaker, amplificatori che incarnano lo stesso spirito della Les Paul Tribute: semplicità e carattere.
Sappiamo bene che i P90 sono delle brutte bestie da tenere a bada. Con il loro output potente, le alte sempre in faccia ma sostenute da basse molto forti, rischiano di trasformare ogni clean in un crunch a volte leggero, a volte più aggressivo. Abbiamo voluto lo stesso provare a mantenere il sound del nostro amplificatore il più clean possibile. Grazie all’ottima dinamica, inaspettata a dire il vero, alleggerendo la pennata oppure chiudendo leggermente il volume si riesce sempre a tornare a un clean degno di questo nome, anche alzando leggermente il livello di gain.
Abbiamo aspettato il più possibile a passare al canale stile Marshall del Dreamaker (nella prima metà del test abbiamo sperimentato il più fenderoso dei due) ma presto le nostra tenacia è venuta meno. Di jazz proprio non se ne parla, la Les Paul Tribute è una schifosa macchina da rock! Aprendo il gain quasi a palla si ottiene una distorsione d’altri tempi, alla quale non siamo più molto abituati, sgranata, spartana e a tratti impastata, quella insomma che ci si aspetta da un progetto del 1952. È un sound che nei dischi più recenti è davvero raro trovare, ma che sfido a non apprezzare. Ha la sua dose di cattiveria accoppiata a uno straordinario calore che spesso si fatica a ricordare nel mondo odierno fatto di eq a V e Fractal a non finire.
Per mettere le mani su questo gioiellino - nome appropriato vista la quantità di vernice dorata spalmata un po’ ovunque - bisogna sborsare una cifra abbastanza elevata (sopra i 3000 euro), con la certezza però di aggiudicarsi una chitarra destinata solo ad aumentare il suo valore. Oltre al suono da purosangue, infatti, grazie alla tiratura limitata si può apprezzare il valore collezionistico, da non sottovalutare di certo.
Si ringrazia Lucky Music per aver messo a disposizione strumento e location per la prova.