Spesso, da semplici appassionati dello strumento musicale, si fa l’errore di credere che i professionisti vivano il rapporto col suono in modo diverso, con la freddezza di chi deve “portare il lavoro a casa”. Ci si stupirebbe, invece, di scoprire quanti artisti affermati provino lo stesso trasporto quando scovano l’ultima novità di mercato, si ritrovano in braccio un pregiato pezzo d’epoca o hanno l’opportunità di mettere le mani su un circuito per cucirselo letteralmente addosso.
È quello che traspare in modo evidente quando si scambiano due chiacchiere con Enrico Salvi, aka Drigo che, mentre da una parte formava musicalmente un’intera generazione coi Negrita, dall’altra ha condotto una costante ricerca sonora, vicina in modo impressionante ai desideri di qualsiasi fanatico della sei-corde.
Incontrarlo a è stata una piacevole scoperta, anche se non è la prima volta che lo incrocio in fiera: già nel 2021 si era portato via una solid body anni ’70 (Framus se ricordo bene, ma potrei sbagliare) su cui avevo messo gli occhi anch’io, soffiandomela letteralmente per un pelo dal “cespuglio di manici” che era l’affollatissimo stand di Giro Di Do. Stavolta lo ritrovo da , a celebrare la collaborazione con Marco Bovelli che ha dato vita al suo primo stompbox signature.
Stratocaster alla mano, una pedalboard eccezionalmente minimale ai piedi, ha allietato il pubblico per entrambe le giornate con due incontri quasi a sorpresa, un approfondimento fatto di stile, suono e lick grossi quanto una casa.
Nota personale: è impressionante quanta padronanza dello strumento possa sfoggiare chi ormai ci “parla” attraverso quelle corde, creando dal nulla un tono gigantesco e sempre “giusto”, con un piccolo valvolare piazzato lì in un angolo di uno stand nel corridoio di una fiera.
Approfittando di un attimo di quiete prima della sua esibizione, me lo sono portato via per qualche minuto per conoscere meglio quei curiosi stompbox dalla livrea bianca e rossa su cui stava per alzare il sipario.
Il distorsore che ha disegnato insieme a Formula B, testato a lungo sul palco coi Negrita e infine condiviso col pubblico, prende il nome di Alhambra.
Il toro sullo chassis è opera di Drigo che, alla carriera di musicista, . Poderoso ed espressivo, il suono che ha fatto ascoltare in sala sembra in effetti sposarsi decisamente bene con l’illustrazione.
Dinamico, da tenere sempre acceso e ripulire col solo potenziometro della chitarra per passare da suoni puliti e brillanti ai crunch fino ai lead da rock, l’Alhambra incuriosisce per le due versioni in cui compare ai suoi piedi.
Una ha il solo potenziometro del volume, mentre l’altra monta i classici tre controlli di volume, gain e tono. Mentre la versione a tre knob non lascia granché spazio a interrogativi, è una visione sopra le righe quella di impostare un preciso suono di fabbrica per la controparte a manopola singola, lasciando all’utente la sola preoccupazione di bilanciare l’uscita finale.
Quello che può sembrare un limite, dopo qualche minuto di ascolto si rivela invece un discreto punto di forza, quasi una filosofia: preoccuparsi poco della ricerca sonora, perché c’è qualcuno che l’ha già fatto a monte per te, e concentrarsi sullo sviscerare tutte le sfumature che un pedale simile è in grado di regalare quando si comincia a lavorare sul tocco e sull’intenzione. Sulla padronanza, appunto.
Marco spiegherà che, all’interno, è comunque possibile modificare i parametri con dei trimmer, ma l’impostazione di “set and forget”, lo ammetto, è affascinante.
Quei minuti a pochi metri da Drigo, nel corridoio di fronte lo stand Formula B, sono stati una lezione di stile e competenza sonora preziosa. Una lezione che, credo, molti dei presenti si porteranno a casa per la prossima volta in cui si troveranno a spippolare sull’ennesimo pedale dai mille controlli dal quale non riescono a tirare fuori il suono che hanno in mente. Perché, probabilmente, il suono in mente non ce lo hanno poi chiaro quanto credevano. |