“Cut Against The Grain”: il debut album di Aaron Keylock
di Filippo Bertipaglia [user #46004] - pubblicato il 09 gennaio 2017 ore 15:00
Aaron Keylock è un chitarrista diciottenne che sta facendo scintille. Abbiamo ascoltato il suo disco di debutto "Cut Against the Grain", un album di rock nudo, crudo e zeppo di influenze blues. Canzoni potenti, strutture dirette e con pochi ingredienti musicali in pentola, suonate con intensità, destrezza e Jimmy Page nel cuore e sotto i polpastrelli.
Aaron Keylock è un diciottenne dell'Oxfordshire cresciuto a pane e blues rock anni 70, come si può facilmente evincere dalla copertina del disco. Il suo talento precoce con la chitarra lo ha portato a suonare regolarmente live sin dalla tenera età di 12 anni, macinando date in centinaia di locali e festival nella terra d'Albione. La sua opera prima “Cut Against the Grain”, che presenta anche Keylock in veste di cantante, è prodotta dal fuoriclasse italoamericano Fabrizio Grossi e offre undici tracce dirette e senza fronzoli, influenzate da artisti quali Rory Gallagher, Johnny Winter, Led Zeppelin, Gary Moore, The Faces ma anche da gruppi più recenti come i Black Crowes. Tra le composizioni da menzionare c'è sicuramente l'opening track “All The Right Moves”, scritta a quattro mani con Paul Barry, dove viene presentata in tutta la sua sfrontatezza e attitudine rock la musica di Keylock e la sua band formata dai giovanissimi Jordan Maycock al basso e Sonny Miller Greaves alla batteria. L'adrenalinica “Against The Grain” (titolo che potrebbe voler tributare Gallagher e il suo disco recante lo stesso titolo), suonata con lo slide è un pugno allo stomaco e si impone come uno dei brani più forti del disco. Nello slow blues “Just One Question”, il giovane inglese si cimenta nella prova migliore con la chitarra, offrendo dinamiche notevoli e dal forte impatto emotivo alternandosi con dita e plettro.
La ballad “Try” per citare un altro brano si rivela una traccia dalla immediata assimilazione, con l'aggiunta del pianoforte e di cori nell'inciso che lo rendono più nostalgico e apprezzabile. Da un punto di vista prettamente chitarristico, il playing di Keylock è piuttosto essenziale e privo di funambolismi, con una forte impronta alla Jimmy Page e con pochi ma classici lick pentatonici nel suo arsenale. Ciò che è degno d'attenzione però è l'assoluta credibilità musicale nell'esposizione dei riff e degli assoli: il timing sempre preciso, i bending appassionati e vibrati (e intonati naturalmente), il sapiente uso dello slide in molteplici accordature aperte e infine l'accuratezza adoperata nel suono di ogni nota, con un tocco sempre vivo e dinamico. Questi sono fattori che senza l'esperienza sui palchi con una vera band raramente s'incontrano in un diciottenne al giorno d'oggi. La voce infine dona all'intero operato musicale un tocco di originalità in più perché si discosta dagli stilemi blues rock ed è maggiormente avvicinabile a vocalist di certe band indie come gli Strokes o garage quali i Dinosaur Jr, quindi parliamo di un timbro piuttosto monocorde ma dall'attitudine sempre sfrontata che fa dell'interpretazione la sua arma migliore. Un disco che non deluderà gli amanti del rock nudo e crudo con influenze blues, che amano le strutture dirette con pochi ingredienti musicali in pentola ma suonati con l'intensità e la destrezza del professionista rodato.