La storia del PAF: l'etichetta da migliaia di dollari
di bobchill [user #6868] - pubblicato il 02 dicembre 2017 ore 08:00
Un'aura mistica rende gli humbucker Gibson PAF un vero graal per i chitarristi elettrici. Bob Cillo racconta la storia dei pickup più quotati di sempre.
La sigla "PAF" designava il primo pickup a doppia bobina introdotto da Gibson negli anni '50, ma il mercato oggi offre un numero così sconcertante di riproduzioni, imitazioni e addirittura falsi che spesso questa dicitura è usata per indicare in maniera generica praticamente qualsiasi humbucker. Come conseguenza, oggi riesce difficile orientarsi con decisione e serenità all’acquisto di un pickup humbucker da installare su una Gibson vintage o riedizione. Vediamo allora di fare un po’ di chiarezza e ripercorrere i primi anni di produzione degli humbucker Gibson, cercando di capire per quale ragione i PAF propriamente detti godono di questa fama di "Santo Graal" tra i chitarristi appassionati di vintage.
A metà degli anni '50, il presidente della Gibson Ted McCarty commissiona al progettista Seth Lover la realizzazione di un pickup che possa filtrare i ronzii indesiderati indotti dalle interferenze elettro-magnetiche della rete elettrica in maniera analoga a quanto aveva fatto Ray Butts con i pickup Filtertron in uso sulle Gretsch. Lover lavora in stretta collaborazione con Walt Fuller, il progettista che nel 1946 aveva creato i pickup a bobina singola P90: l’obiettivo è preservare il timbro distintivo dei single coil di casa Gibson in uso fino ad allora. Seth Lover trae ispirazione dal principio di funzionamento dei dispositivi hum-canceling in uso nella sezione di alimentazione di alcuni amplificatori: nonostante questi precedenti, il suo progetto è abbastanza originale da sollecitare un brevetto, richiesto all’ufficio competente il 22 Giugno del 1955.
Tra la fine del 1956 e l’inizio del '57 la casa di Kalamazoo installa i primi pickup a doppia bobina in alcuni modelli di pedal steel e di chitarre tra cui, come noto, le Les Paul Model e Custom.
L'iter burocratico della pratica inoltrata all’ufficio brevetti procede a rilento e, in attesa del numero di registrazione, la Gibson verso la fine del 1957 comincia ad applicare sulla base del pickup una piccola decal nera che riportava la dicitura "Patent Applied For", un monito per far sapere alla concorrenza che il brevetto è stato regolarmente depositato ed è in corso di approvazione. Da questa etichetta deriva la sigla "PAF", ufficiosa denominazione con cui questi pickup sarebbero divenuti noti.
Le parti principali di cui si compone un PAF sono relativamente poche: all’interno di una copertura metallica saldata a una base troviamo due bobine con i relativi avvolgimenti e i set di pole-piece, uno dei quali regolabile in altezza, e un magnete identico a quelli in uso nei P90. Le bobine, entrambe di colore nero, sono in un materiale plastico comunemente noto come butyrate - dall’odore abbastanza sgradevole - e la copertura è in lega di Nickel definita Nickel-Silver. Gli avvolgimenti sono protetti con un giro di nastro isolante.
Il timbro dei PAF centra in pieno gli scopi prefissati e con ogni probabilità i risultati vanno anche ben oltre le più rosee aspettative di Ted McCarty.
Oggi, quando pensiamo a un humbucker, generalmente immaginiamo un suono d’impatto, caldo, grosso e diretto. Al contrario, sembra quasi che i PAF abbiano la chiarezza e la headroom di un single coil da Fender Telecacaster anni '50 con un plus in termini di robustezza, spessore e potenza. Questo significa che sono pickup estremamente reattivi alla dinamica del tocco: quando le corde vengono sfiorate con delicatezza sono molto dolci, e con una pennata vigorosa sferrano l’energia deflagrante di un attacco ringhioso e potente. La solistica può raggiungere picchi dagli alti penetranti ma mai striduli, le ritmiche sui bassi possono essere corpose ma mai gonfie, cupe o scomposte, gli accordi pieni risuonano sempre ricchi, presenti e incredibilmente definiti. Queste caratteristiche li rendono pickup estremamente versatili ed espressivi, praticamente l’antitesi del sound statico, spento e compresso di molti humbucker contemporanei.
Nella timbrica dei PAF si riconosce la stretta parentela con i P90, specie se si confrontano con soapbar cream cover dei primi anni '50. Rispetto a questi, l’hum-canceling determinato dall’interazione tra le due bobine produce l’effetto collaterale di scavare un po’ le medie frequenze creando un suono più fuzzy e meno ruggente in distorsione. La cremosità e la rotondità dei vecchi P90 in questo senso rimane insuperata. I PAF hanno però la loro rivincita in termini di apertura sulle alte frequenze, articolazione e ricchezza armonica e danno un’impressione di maggiore tridimensionalità.
In sintesi, il suono dei PAF è quello che ha ispirato e scritto tante importanti pagine della storia del rock e che abbiamo ascoltato e amato in decine di dischi.
Le caratteristiche timbriche di questi pickup però, specie nei primi anni di produzione, non sono del tutto costanti. Ciò che probabilmente più contraddistingue la prima generazione di PAF è la mancanza totale di omogeneità e di uniformità di materiali impiegati, di procedimento di assemblaggio e, conseguentemente, di sonorità.
Le prime differenze sono nell’avvolgimento: il numero di spire, la distribuzione e la tensione del filo plain enamel 0.42 intorno a ciascuna bobina variano sensibilmente.
Le macchine avvolgitrici dell’epoca avevano contagiri fragili e inaffidabili, per cui erano per lo più operate a mano e di conseguenza il risultato era del tutto a discrezione degli operatori. Con l’aumentare degli avvolgimenti sulla bobina, il valore in Ohm della resistenza cresce, capita così di trovare PAF in un’ampia escursione di valori: da misure inferiori a 7.0 a valori anche ben superiori a 9.0 Kohm. A valori di resistenza maggiori, il pickup guadagna in potenza e in toni medi ma tende a impoverirsi sulle basse e le alte frequenze. I PAF non erano incerati o paraffinati quindi, dando una certa tensione all’avvolgimento, si rendeva la bobina più resistente al larsen. Se la tensione diventava eccessiva, si versava un tributo alla qualità del suono.
Queste differenze sono praticamente impercettibili nei single coil P90, ma nel caso di un humbucker le variabili vanno moltiplicate per le due bobine accopiate, creando una produzione molto eterogenea. In particolare, lo sfasamento tra i valori delle due bobine, definito “offset”, a seconda dei casi può esaltare alcune frequenze o soffocarne altre. I più esperti ritengono che questo sia un fattore d'importanza cardine per il sound della prima generazione di PAF. Se l’offset diviene eccessivo il suono risulta gonfio e cupo, se le due bobine hanno identico valore si ottiene il massimo effetto di cancellazione del ronzio ma il suono perde di corpo e si indebolisce sulle basse frequenze.
Bisogna aggiungere che la tensione e la resistenza dell’avvolgimento cambiavano anche a seconda delle diverse macchine avvolgitrici impiegate e in dipendenza della tolleranza di Ohm per metro del filo utilizzato.
Gli avvolgimenti e l’offset delle bobine non erano gli unici elementi di difformità nella produzione: nei PAF erano usati magneti in AlNiCo provenienti da almeno otto fornitori differenti. In maniera del tutto casuale venivano usate differenti tipi di leghe: AlNiCo 2, 3, 4 e 5, delle quali l’AlNiCo 2 era adoperato con maggiore frequenza e l’Alnico 3 era adoperato più di rado.
La mancanza di uniformità è causa di grattacapi in un qualunque processo di produzione industriale e si può ben immaginare che fosse una spina nel fianco anche per la Gibson.
Tra l’inizio del 1959 e la metà del 1960, oltre alle solite bobine nere, vengono prodotte anche bobine di colore bianco-crema. Aprendo le cover dei PAF di quel periodo capita così di poter trovare humbucker di tre tipi diversi: bianchi, neri e cosiddetti "zebrati", con la bobina nera dalla parte dei pole-piece regolabili appaiata a una bianca. Questa ultriore variabile, apparentemente solo estetica, potrebbe in realtà nascondere un fattore di maggiore interesse.
Secondo la letteratura ufficiale e sulla base dei ricordi di chi all’epoca lavorava in Gibson, le bobine color crema apparvero a causa di una non meglio chiarita "carenza di plastica nera" e dunque i pickup venivano assemblati in modo del tutto casuale, senza badare al colore delle bobine. Questa versione ha però diversi punti deboli. In particolare non si spiega perché alcuni esperti riconoscano delle caratteristiche sonore comuni alle tre differenti tipologie di colore e il motivo per cui i PAF zebrati fossero assemblati in maniera rigorosa con la bobina nera dalla parte dei pole-pieces regolabili, salvo rarissimi errori. Molto più spesso, i "reverse zebra" sono il risultato di successive manomissioni. Sembra difficile credere che alla Gibson si perdesse tempo a giocare con il colore delle bobine, peraltro destinate a essere nascoste da una copertura permanentemente saldata.
Il mio caro amico Gianni Bucci, un esperto che aveva conoscenze uniche in materia, aveva elaborato una interessante teoria. Gianni aveva supposto che le tre tipologie di colore fossero dei codici per identificare le diverse macchine avvolgitrici impiegate, per poter effettuare un controllo di qualità sui pickup prodotti. In questo modo si sarebbe potuto risalire con assoluta certezza dal pickup alla linea di produzione con cui era stato assemblato.
Già diversi anni fa, nei tempi non sospetti in cui non abbondavano tutte le informazioni oggi disponibili su web, Bucci era convinto che il parametro più significativo per il suono di un PAF non fosse il valore in Ohm della resistemza, ma la misura in Henry dell’induttanza.
L’induttanza è determinata da diversi fattori, tra cui proprio la tecnica dell’avvolgimento e il tipo di magnete impiegato. Minore è il valore di induttanza, tanto più il suono del pickup risulterà chiaro e aperto sulle alte frequenze. Bucci aveva constatato che in media i PAF bianchi erano quelli con minore induttanza mentre quelli neri presentavano i valori di Henry più alti e risultano avere un suono generalmente più corposo e meno brillante. Questo avvalorerebbe l’ipotesi secondo cui le tipologie di colore identificano una determinata linea di avvolgimento rispetto a un'altra. In alternativa, l’espediente delle bobine bianche potrebbe essere servito a contraddistinguere le tre diverse tipologie di magneti prevalentemente impiegate per verificarne la resa sonora.
Tengo a sottolineare che queste teorie sono mere supposizioni senza alcun conforto di riscontri oggettivi. Tuttavia sono assolutamente plausibili nella logica di un processo industriale, nell’ottica di monitorare le specifiche delle diverse macchine avvolgitrici e uniformare il più possibile la produzione degli humbucker.
Dedico questo articolo alla memoria di Gianni Bucci: non siamo in molti a poter dire di aver avuto un grande maestro di chitarra che non sapesse suonare.