di LaPudva [user #33493] - pubblicato il 27 novembre 2012 ore 07:30
Oggi 27 novembre 2012 James Marshall Hendrix avrebbe compiuto settant'anni. Da Woodstock ai simbolismi di "Star Spangled Banner", celebriamo l'uomo e l'artista che ha rivoluzionato il volto della chitarra elettrica e della musica tutta.
Tutto sembrava far pensare al peggio per la chiusura dell’evento. Gli infiniti problemi di ordine tecnico e il cattivo tempo resero indispensabile dilatare il festival - originariamente previsto per il 15, 16 e 17 agosto del 1969 - fino a lunedì 18. Domenica, infatti, la manifestazione avrebbe dovuto chiudersi con l’evento clou, il concerto di Jimi Hendrix atteso per mezzanotte. Gli organizzatori offrirono a Hendrix di salire sul palco all’orario prestabilito, proponendo di far slittare alcuni concerti minori, ma fu proprio Jimi che optò per rimandare la sua esibizione al giorno successivo, deciso a voler suonare per ultimo. Probabilmente è proprio per questo che oggi le immagini della sua performance a Woodstock sono scolpite nella memoria collettiva: la luce del mattino e le condizioni atmosferiche si rivelarono ideali per filmarla e regalarle l’eternità.
Hendrix salì sul palco alle 9, davanti a un pubblico più che dimezzato rispetto al weekend (l’incantesimo dei Tre Giorni di Amore & Musica venne interrotto dall’inesorabile campanella degli obblighi scolastici e lavorativi) e diede inizio a un concerto eccezionale sotto molti punti di vista.
Innanzi tutto si presentò con una band formata solo pochi giorni prima. Vennero introdotti sul palco dal presentatore come “The Jimi Hendrix Experience” (nome del trio con cui Hendrix aveva suonato dal ’66 fino a un paio di mesi prima), ma Jimi chiarì al pubblico che si trattava, invece, dei Gypsy Sun and Rainbows. Fu l’unica formazione con un secondo chitarrista e una delle più ampie con cui si sia esibito a suo nome: Mitch Mitchell (già negli Experience) alla batteria, Billy Cox (ex compagno d’armi) al basso, Larry Lee alla chitarra ritmica e voce, Juma Sultan e Jerry Velez alle percussioni.
Le pochissime prove del gruppo sembravano promettere un autentico disastro, senza contare che la maggior parte di quei musicisti non aveva mai suonato di fronte a un grande pubblico. Andò diversamente: la band si lanciò in un’esibizione di due ore circa (la più lunga che Jimi abbia mai fatto), suonando con grande feel, una trascinante forza ritmica e sprigionando una misteriosa energia che ha pervaso l’intero set con picchi di rara intensità.
Era un periodo di transizione nella carriera di Jimi e se il suo show sembrava guardare al futuro (a partire dal brano di apertura, l’inedito “Message to Love”), non ha lasciato fuori i grandi successi del passato recente come "Foxy Lady", "Fire" e "Hey Joe", raro bis con cui chiuse l’esibizione. Stranamente incluse anche due brani scritti da Curtis Mayfield diverso tempo prima ("Gypsy Woman" e "Aware of Love", cantati in un medley da Larry Lee e non presenti nelle registrazioni ufficiali dell’evento), mai suonati da Hendrix dal vivo in altre occasioni. Ma è probabilmente dopo due terzi dello show che consegnò alla storia il momento più bello del festival e uno dei più emozionanti della sua carriera. Aveva eseguito quel brano dal vivo una trentina di volte in precedenza, ma con l’interpretazione di "Star Spangled Banner" a Woodstock Hendrix ha immortalato la sua inquietante e coinvolta visione dell’America come non aveva mai fatto prima. In quasi quattro minuti di suoni distorti, feedback e un uso selvaggio della leva a evocare bombe che cadono, sirene di ambulanze e grida, Hendrix - ex paracadutista dell’esercito USA - riporta l’inno americano alle sue origini e lo contestualizza, al contempo, nel conflitto in Vietnam. Non molti sanno, infatti, che la poesia di Francis Scott Key che costituisce il testo dell’inno parla proprio di sangue, bombe e razzi.
L’interpretazione di Hendrix venne accolta negativamente da molti Americani, che la trovarono una parodia irrispettosa e poco ortodossa, e quando il celebre conduttore televisivo Dick Cavett chiese a Jimi il suo parere sulla controversia, questi rispose semplicemente “Sono americano e quindi l’ho suonata. […] Non penso fosse non ortodossa. Pensavo fosse bella”. Tre settimane dopo l’esibizione dichiarò alla stampa “[L’ho suonata perché] Siamo tutti Americani. O no? Era come dire ‘Vai America!’”.
Sicuramente l’esecuzione del pezzo assume un significato particolare nel quadro in cui venne eseguita (Woodstock fu il più grande evento collettivo della controcultura americana durante la guerra in Vietnam) e il sentimento comune della maggior parte di coloro i quali vissero quel momento è che il messaggio che veicolava non fosse rivolto contro gli Stati Uniti, ma contro gli orrori della guerra, al fine di esorcizzarne il terrore in una sorta di rituale rock.
A rendere ancor più vibrante quel messaggio fu il fatto che, in un periodo di grandi tensioni razziali negli USA, a lanciarlo fosse il musicista di colore dal più ampio seguito, che aveva dovuto migrare in Europa per vedersi riconoscere i propri meriti artistici e tornare, poi, in patria da eroe: il ruolo da headliner in un evento di dimensioni bibliche come Woodstock ne consacrava definitivamente lo status. Un feroce inno di protesta, insomma, ma anche un grido di appartenenza agli Stati Uniti d’America, Paese lacerato e scenario in mutamento il cui clima è stato espresso alla perfezione nella performance di Hendrix. Poche altre dichiarazioni artistiche hanno incanalato le angosce e le contraddizioni di un’epoca in modo così brutale e al contempo sublime.
Significativamente, "Star Spangled Banner", emerso in mezzo a un lungo medley e che a sua volta includerà un accenno al mesto “Taps” (“Il Silenzio”), sfocerà in “Purple Haze” per poi lasciare spazio alla chiusura del set. I partecipanti al festival di Woodstock furono tanti (Who, Joe Cocker, Ten Years After, Johnny Winter, Crosby, Still, Nash & Young, Grateful Dead, Janis Joplin, Santana, per citarne alcuni) ma il concerto finale rimane il momento più elettrizzante ed emblematico dell’intero festival e forse di una generazione. Poco più di un anno dopo Hendrix morì a Londra all’età di 27 anni.
Il 27 novembre 2012, per celebrare il 70esimo anniversario della nascita di Jimi Hendrix, arriva nei cinema “Hendrix 70. Live at Woodstock”, il film che permetterà di rivivere collettivamente quel momento, restituito al pubblico dopo un lavoro di restauro sul master audio e il cui mix è stato curato da Eddie Kramer, sound engineer del festival e fonico di Hendrix. A integrare i filmati della performance, materiali inediti e interviste all’organizzatore Eddie Lang, ad alcuni membri della band e allo stesso Kramer. Un filmato che ha cambiato le vite di molti e che continuerà a farlo.