di Denis Buratto [user #16167] - pubblicato il 16 febbraio 2013 ore 08:00
Una chitarra dalla semplicità quasi disarmante la Pacifica 510V, capace però di stupire in ogni situazione, dal blues sanguigno al jazz più delicato spingendosi con la forza del suo humbucker fino a territori più hard rock che mai. Le abbiamo dato un’occhiata da vicino e ce ne siamo separati a malincuore.
La Yamaha Pacifica da sempre è accreditata per essere una delle migliori copie - o meglio derivati - della Stratocaster, dalla quale ha preso le forme ridisegnandole, portando l’amata creatura di Leo Fender in una dimensione più moderna. L’abbiamo vista in tutte le salse, con doppio humbucker, HSS, con Floyd, a ponte fisso, top fiammato, tastiera in acero, ma la 510V va in controtendenza, semplificandola all’osso.
Una chitarra che bada alla sostanza, senza perdersi in fronzoli. Dall’aspetto vintage, ma con dettagli decisamente moderni. Una perfetta unione di sacro e profano capace di renderla super versatile, quasi più di una super-Strat.
Il body è in ontano, dalle forme molto snelle, leggermente squadrate, con corna ben pronunciate che gli donano un aspetto leggero. Manico è in acero con tastiera in palissando a 22 tasti e capotasto TUSQ, sovrastato dall’elegante e moderna paletta ormai simbolo della serie Pacifica.
Squisitamente vintage la scelta dei colori disponibili: si passa dal classico sunburst a tre toni al Surf Green molto anni ’50, passando per i classici black, white e uno sgargiante rosso metallizzato (un po’ fuori scala in quanto ad antichità).
I dettagli che però rendono davvero moderna questa Yamaha sono decisamente altri.
Si parte dal ponte Wilkinson VS50. Questo marchio produce alcuni tra i ponti aftermarket più usati ed è garanzia di stabilità per l’accordatura ed efficienza anche nell’utilizzo più intenso. A queste caratteristiche si aggiunge il look davvero ricercato, con le sellette in zinco con bordo in acciaio per aumentarne anche la durata e la resistenza.
Risalendo verso la paletta troviamo le manopole in metallo ben fatte e dall’ottimo grip. Segnialiamo giusto l’eccessiva durezza del potenziometro del tono, dovuta probabilmente alla manopola troppo vicina al top.
Singolari sono le meccaniche autobloccanti, progetto originale Yamaha che permette, con pochissimi passaggi, di montare una muta di corde senza fatica.
Altro elemento di modernità è l’elettronica, o meglio il pickup scelto per equipaggiare la Pacifica 510V. L’unico humbucker che troviamo avvitato al battipenna è infatti un P-rail marcato Seymour Duncan, un magnete davvero degno di nota composto da un vero P90 unito a un single coil, che insieme scatenano la potenza di un pickup a doppia bobina classico. Con il selettore a tre posizioni è possibile quindi scegliere se utilizzare un cattivissimo P90, un singolo più garbato o un ruggente humbucker.
Una chitarra da aggredire, talmente semplice che si è portati subito a smanacciarla senza garbo, la Yamaha ha un po’ il fascino delle moto da cross: leggere, colorate, sfacciate, ma dannatamente efficaci e spesso scorbutiche.
Effettivamente una volta imbracciata si nota subito il peso ridotto e il perfetto bilanciamento. Il manico, con un comodissimo profilo a C, è scorrevole e invita subito a suonare su e giù per la tastiera, come se la si conoscesse da una vita. Infastidisce giusto un poco l’eccessiva verniciatura che, pur regalando un killer look, rallenta un po’ le scorribande dal primo al ventiduesimo tasto.
Le forme sinuose la fanno calzare a pennello sia da seduti sia in piedi, ma forse è meglio collegarla all’amplificatore e iniziare a suonare.
Pur essendo posizionato al ponte, il P-rail offre un grande margine di versatilità. Quella che abbiamo tra le mani non è un’aggressiva chitarra anni novanta votata solo a ritmiche selvagge e assolo al fulmicotone.
Contro ogni aspettativa, con il selettore in posizione uno e con la sola bobina più piccola attiva il sound che si ricava è abbastanza scuro, lontanissimo dal sound brillante e tagliente delle Strat in posizione cinque. Ottimo sui clean dove risulta sempre corposo e sorprendentemente silenzioso. Riesce a dire la sua anche sui crunch dove si distingue per un output abbastanza elevato, senza mai diventare troppo tagliente.
Il P90 forse è ancora più riuscito. La differenza tra il Seymour Duncan e un P90 classico è davvero impercettibile. La cattiveria c’è tutta, grande volume, ronzii ridotti al minimo. Il pulito che fu con il single coil ora si trasforma in un leggero crunch senza cambiare nulla sull’amplificatore. Il suono è più grosso, aggressivo, già pronto a saturare le valvole. Alziamo il guadagno ed è poesia pura. Sembra davvero di avere tra le mani una Les Paul Junior con il suo carico di irriverenza.
Diamo un colpetto al selettore e colleghiamo le due bobine. Quello che otteniamo è un vero e proprio humbucker, che nulla ha da temere nei confronti dei ben più blasonati JB e Classic ’59. Rumori di fondo azzerati e potenza quasi raddoppiata. Una carica di basse non indifferente è capace di dare il meglio di sé sia sui puliti sia sui distorti. I primi risultano caldi e corposi, giusto un pelo compressi, a causa forse dell’output davvero elevato. Il timbro già sorprendente diventa, se possibile, ancora più bello nei crunch dove si riesce ad apprezzare a pieno anche il sustain regalato dal P-rail.
Attiviamo un overdrive e sfoderiamo un lead di tutto rispetto, note lunghe a non finire e potenza da vendere. Quello che poteva essere un pickup versatile si rivela anche essere davvero dinamico e con una grande personalità, che rende la Pacifica una chitarra vincente.
Spartana, perfetta sintesi di vintage e modernità. Capace di regalare soddisfazioni un po’ a tutti i chitarristi. Il prezzo non è bassissimo, ma vista la qualità di materiali e hardware non è per nulla elevato. Sicuramente una chitarra da provare, la Pacifica 510V, unica per il momento a ospitare uno dei pickup più eclettici che abbiamo avuto modo di provare.