Come gestisci i tuoi ascolti durante lo show? Cosa vuoi sentire nei tuoi in ear monitor?
Come musicista, sul palco, cerco di godermi il più possibile il concerto. Per questo non cerco ascolti particolari, troppo estremi o concentrati su elementi singoli. Chiedo al fonico di darmi un po’ di tutto, cercando di ricreare nei miei ascolti il mix generale del concerto, l’ascolto che arriva al pubblico. Mi permette, in qualche modo, di essere dall’altra parte, da quella di chi ascolta. Ovviamente, ho un occhio di riguardo nel sincerarmi di avere un ottimo ascolto di cassa, rullante, click, basso…l’intera sezione ritmica. Ma non voglio privarmi del piacere di sentire l’intero concerto con i synth, le chitarre... Addirittura, in cuffia mi tengo gli archi, che non sarebbero strettamente necessari ai fini delle mie parti ma, ripeto, mi aiutano a godermi lo show.
Durante il soundcheck ho sentito che utilizzate parecchie sequenze, con parti di bass synth importanti. Come hai lavorato a un suono di basso che non si impastasse con la parte più bassa delle sequenze?
Parto dal cercare un suono che possa, almeno alle mie orecchie, essere funzionale al brano. È chiaro però che quello che tu da musicista, senti sul palco e ti arriva dall’amplificatore, è diverso da quello che poi si ascolta e si sente fuori, nel mix sonoro e finale della band. Per questo è decisivo il ruolo e lavoro che fanno tecnici e fonici, che compiono una lavorazione ulteriore del mio suono.
Di sicuro, per rispondere alla tua domanda, l’utilizzo del plettro mi aiuta a trovare delle frequenze che riescono a uscire maggiormente nell’ensemble sonoro, mi aiuta a bucare il mix, soprattutto quando ci sono tanti bassi suonati dei synth con i quali c’è il rischio di confondersi. Poi, il tocco e l’equalizzazione finale del fonico, fanno il resto.
Lo suoni volentieri il basso a plettro?
In realtà, fino a poco tempo fa il mio rapporto con il plettro era pessimo, perché ho sempre preferito il basso suonato a dita, quello che senti nel pop, nel jazz generi che ho ascoltato molto. Anche se sentivo molto plettro nelle linee di basso presenti nel rock, queste non mi entusiasmavano e comunque riuscivo a riprodurle con le dita….
Suonare bene a plettro poi è più insidioso di quanto possa sembrare…
Sì, ma il punto è un altro. Se suoni per anni in una tal maniera, nel mio caso a dita, cambiare è sempre difficile. Quando afferravo e provavo a suonare a plettro inizialmente non riuscivo ad andare oltre un accompagnamento molto semplice: i fill mi risultavano difficoltosi. Tanto che se avevo quel tipo di esigenza sonora, cercavo piuttosto di arrivarci con il suono, con l’equalizzazione, piuttosto che direttamente a plettro. Ora sto imparando a usarlo ma mi piace pensare che il plettro, per me, resti una seconda scelta…
Parlando di suono, vedo che hai anche una pedaliera molto semplice…
Sì, io sono giovane ma ho un approccio molto alla vecchia sul suono: plug&play. Per me sostanzialmente due sono le modalità sonore, a plettro o a dita. E la mia pedaliera, come vedi, conferma questa ricerca di essenzialità. Ho un distorsore, un pedale del volume e un accordatore…
Però, una cosa un po’ ricercata la vedo. Quello che utilizzi assieme all’amplificatore è un JoeMeek?
Sì, è un vecchio preamplificatore JoeMeek degli anni ’80. È un po’ una chicca nella mia strumentazione...
Ne faccio, l’utilizzo più tradizionale, entrandoci come si entra normalmente in un pre per poi uscire nel finale dell’amplificatore che è un .
Invece che bassi ti porti sul palco?
Sul palco dei Thegiornalisti mi porto tre bassi , un e un altro di matrice Jazz Bass, uscito da poco. Li ho scelti in base alle esigenze sonore del repertorio di questa band. Il suono dei Thegiornalisti, da album ad album ha un’evoluzione continua. Per esempio, “Fuori Campo” è stato registrato con un basso Fender Precision e con il G&L, 0 appunto, sono riuscito a ritrovare il suono caratteristico di quell’album. Sia i bassi G&L che l'amplificatore che utilizzo sono prodotti distribuiti in Italia da
Quali sono le prime cose che suoni o testi quando provi un basso.
Due cose semplicissime: eseguo una lunga scala cromatica su ogni corda per sincerarmi che non ci siano note morte.
Poi, visto che ritengo il timbro, la voce del legno decisivi sul carattere di un basso, appoggio letteralmente l’orecchio al body del basso mentre suono qualche nota a basso spento, per sentire come risuona…
Ho visto che tra le tue attività ti dedichi anche all’insegnamento…
Sì, anche se il mio focus è concentrato sull’attività di turnista, il tempo che mi rimane libero lo dedico volentieri all’insegnamento. Mi piace l’idea di trasmettere la mia esperienza. Ho un approccio nel quale metto prima di ogni altra cosa il carattere e le esigenze dell’allievo che ho di fronte. Sono tutti molto diversi e non credo sia giusto adottare uno stesso metodo, uno stesso percorso uguale con tutti…
Tra i tuoi allievi che ambiscono a diventare musicisti professionisti, qual è la cosa su cui sei più esigente?
Il timing, per un bassista è fondamentale ed è la mia fissa. Se poi qualcuno ha ambizioni professionali, avere un buon timing lo aiuterà moltissimo a lavorare.
Come si lavora al timing?
Usando il metronomo, tantissimo. Io per anni l’ho odiato ma poi ho capito che è imprescindibile.
Ora in qualunque cosa io suoni, sia uno studio, un brano o un esercizio, la pratica a metronomo è irrinunciabile. Coltivare il timing è importante per ogni musicista ma per un bassista è davvero indispensabile, visto che è una delle qualità più apprezzate e ricercate.
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